Autonomia differenziata, a chi conviene la scuola regionale

Secondo le bozze d’intesa siglate con il governo i nuovi docenti saranno assunti direttamente da Lombardia e Veneto. Protestano i sindacati che parlano di «una vera e propria secessione delle regioni più ricche»

Programmi scolastici differenziati e docenti regionali: così cambierà l’istruzione italiana dopo il rafforzamento delle competenze per Lombardia e Veneto, salvo dietrofront improvvisi durante il passaggio parlamentare. Secondo le bozze d’intesa tra il governo e gli enti (che stanno chiedendo l’autonomia regionale su tutte le 23 materie previste dall’articolo 116 della Costituzione) i nuovi docenti saranno direttamente assunti dalle regioni.


L'Emilia Romagna invece non ha richiesto finora la regionalizzazione del proprio personale scolastico. «Non temo una corsa dei docenti verso il Veneto. Ho preso come riferimento la provincia autonoma di Trento dove già i professori vengono pagati 300 euro in più dei colleghi» spiega Elena Donazzan assessore veneta all'Istruzione che sottolinea di «non essere leghista» ma iscritta a una lista civica (dopo un passato in Forza Italia).


Pur considerando il contratto collettivo nazionale, in Veneto e Lombardia i nuovi insegnanti potranno sperare di avere un contratto integrativo con uno stipendio maggiore rispetto ai 1200-1300 euro dei colleghi nel resto d'Italia. I dipendenti attuali resterebbero statali ma potrebbero chiedere di essere trasferiti su base volontaria all'ente regionale, dopo un periodo di tempo che sarà deciso con una trattativa sindacale. Ma per i sindacati il problema è ben più ampio.

Cgil, Cisl, Uil, sindacati di base e alcune associazioni hanno convocato uno sciopero per il 27 febbraio e lanciato l'appello #RestiamoUniti, considerando l'autonomia regionale «una vera e propria secessione delle regioni più ricche, che porterà a un sistema scolastico con investimenti e qualità legati alla ricchezza del territorio». E anche il Movimento 5 Stelle aveva manifestato perplessità: «I docenti del Sud, una volta assunti in Veneto, non potrebbero più tornare in Campania o Sicilia», aveva detto la deputata M5S Lucia Azzolina.

Le recenti dichiarazioni del ministro dell'Istruzione Marco Bussetti (seguite da scuse) sul «Sud che si deve impegnare» per colmare il divario tra scuole del Nord e del Sud non hanno contribuito ad allentare la tensione. Pochi giorni fa è nata perfino un'associazione degli Istituti Meridionalisti (AIM) contro l'autonomia rafforzata, nel frattempo richiesta però anche dal presidente della Campania Vincenzo De Luca.

Maggiori poteri alle regioni nel campo dell'Istruzione significherà poter incidere anche nei programmi scolastici: «Oltre alla possibilità di ampliare le materie e i progetti legati al territorio già previsto dalla normativa, potremmo decidere autonomamente il calendario scolastico – spiega l'assessore all'Istruzione Donazzan – Chi parla di secessione ed è preoccupato per l'insegnamento della storia veneta, si tranquillizzi. Viene già insegnata nelle nostre scuole».