Giorgia Surina: «Radio sovranista? Una proposta di cui non si sentiva il bisogno. La musica è incontro di diversità»

di Angela Gennaro

Abbiamo chiesto alla speaker di Rtl 102.5 cosa pensa della proposta di legge leghista per dedicare una quota obbligatoria di programmazione alla musica italiana. «Molti artisti italiani hanno il prestigio di fare collaborazioni con colleghi stranieri. A quel punto come lo consideri il pezzo?» 

Giorgia Surina lavora nel mondo della musica da tanti anni. È il 1997 quando debutta su Mtv, dove conduce programmi come Hitlist Italia e Total Request Live. Ha fatto cinema e televisione, fino ad approdare in radio prima nel 2006 su R101 per poi entrare, dal gennaio 2010, nella quadra di Rtl 102.5, dove è in onda con Shaker il sabato e la domenica, dalle 19:00 alle 21:00, accanto a Carlo Elli.


Sui media non si parla spesso di radio, ma il medium è balzato agli onori delle cronache grazie a una proposta di legge a prima firma del leghista Alessandro Morelli, presidente della commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera e già direttore di Radio Padania, insieme ad altri otto colleghi parlamentari. L'idea è quella che le radio nazionali, anche private, riservino obbligatoriamente un terzo della programmazione alla musica italiana. E che il 10% di questa quota venga dedicato ad artisti emergenti. Un'attenzione alla musica italiana che c'è già, spiega Giorgia Surina a Open. Rtl 102.5, per esempio, fanno sapere dall'emittente, dedica in media metà della programmazione alla produzione nostrana.


Giorgia Surina, cosa ne pensi del dibattito che si è scatenato intorno alla proposta di una radio che qualcuno ha chiamato sovranista?

«Personalmente non ne sentivo l'esigenza. La nostra radio, che è privata, ha già da tempo un'ampia scelta di artisti che vengono proposti quotidianamente, 24 ore su 24, in diretta. È un flusso continuo di musica e di generi diversi che costruiscono il nostro palinsesto, decisamente variegato e bilanciato. Quindi no, non si sentiva per niente l'esigenza di questo tipo di proposta. Vero è che dobbiamo – in qualità di italiani – proteggere i nostri artisti e la nostra musica.

Ma, ripeto, lo si fa già. Anche il fatto stesso che Claudio Baglioni per il Festival di Sanremo abbia scelto quest'anno tutti artisti italiani anche come super ospiti mi fa capire che la tendenza è quella. Dall'altra parte – la mia è una piccola provocazione – molti artisti italiani hanno il prestigio di fare collaborazioni con colleghi stranieri. A quel punto come lo consideri il pezzo? Italiano o straniero? Diciamo che andrebbero attenzionati altri temi».

Ecco, di cosa ci sarebbe bisogno piuttosto?

«Cercare di capire che davvero la musica è l'unica cosa che ci salva oggi. Non si parla tanto di radio? Ma la radio è uno dei primi mezzi i comunicazione di massa in assoluto ed è quello che sta meglio. Ed è uno dei modi per comunicare – a piccoli o grandi gruppi – più puro in assoluto. Lo dico con onore e piacere: quando faccio una diretta radio, al di là del fatto che mi possano vedere in tv, c'è una percezione di esclusività nella comunicazione.

Tu parli in un microfono che arriva ovunque nel mondo, ed è come se creassi un collegamento diretto con ogni singola persona che ti sta ascoltando. Mi piacerebbe si parlasse di radio in maniera differente: magari che si facesse qualcosa per fare sì che questo mezzo possa continuare ad essere sempre florido e propositivo, invece di mettere leggi e regolamentazioni».

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Giorgia Surina al Power Hits Estate all’Arena di Verona. Credit/Elena Di Vincenzo

Come hai visto cambiare questo settore negli anni?

«Faccio parte di questa industria da tanto. E devo dire che quello che ho visto anche nell'ultimo Sanremo è che si sta affacciando una nuova generazione di artisti, di tipologie musicali, di attitudine nei confronti della musica – dal rap alla trap. Quando lavoravo a Mtv c'era tutt'altro genere musicale ed era quello che rispecchiava i gusti dei consumatori dell'epoca. Gusti che oggi sono cambiati.

C'è stata una bella rivoluzione: la vedo nelle strade, anche qui in Italia con tanti gruppi di ragazzini che si riuniscono sotto ai portici della loro città, per le strade, nelle piazze. Con la musica alta, cercando di fare coreografie di break dance e di rap. È una musica più parlata, forse più di pancia».

E l'audience?

«C'è stata un'ondata di nuove leve, ragazzi che forse anche grazie alle nuove tecnologie – per cui è possibile lavorare su dei pezzi non necessariamente in uno studio super attrezzato ma anche nella tua camera. Oggi un ragazzo che ha voglia di fare musica, produrla da solo e magari proporsi per farsi conoscere può anche farlo direttamente sul suo canale YT o sui social. È diventato un processo che permea ogni angolo della società e ogni anfratto della vita quotidiana che viviamo. E per fortuna la musica è diventata più accessibile quindi anche agli appassionati.

Per contro si è anche molto più critici, anche grazie ai social. Durante i giorni di Sanremo per esempio – ero in onda su Rtl 102.5 – vedevo una fortissima ed eterogenea visione del festival. Non sono riuscita – tramite i messaggi e le telefonate che arrivavano – a individuare un potenziale vincitore. Ma erano veramente tante le voci, e rispecchiavano ogni piccolo angolo e diverso gusto. Una volta è Mahmood, una volta Cristicchi, una volta Paola Turci: vuol dire che c'è più di una risposta alla musica che viene proposta».

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