Mafia capitale in Campidoglio: perché l’ex sindaco Alemanno è stato condannato a 6 anni

La condanna va oltre le richieste della procura, alla lettura presente in aula il presidente del tribunale. L’ex sindaco si difende: «Sono innocente»

La decisione dei giudici ha superato, in durezza, persino la richiesta del pm: l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, è stato condannato a sei anni di reclusione con contestuale interdizione perpetua dai pubblici uffici, per corruzione e finanziamento illecito. Il pm Luca Tescaroli, nell’argomentare la richiesta di reclusione a cinque anni e quattro mesi, all’apertura dell’udienza del 25 febbraio, ha spiegato che quando era sindaco, Alemanno era «l’uomo politico di riferimento dell’organizzazione Mafia capitale» e questo proprio grazie al ruolo di primo cittadino, svolto dal 20 aprile 2008 al 12 giugno 2013. Non solo: anche passato nelle file dell’opposizione, quando a guidare il Campidoglio era Ignazio Marino, il legame con Salvatore Buzzi, leader delle cooperative della galassia Mafia Capitale sarebbe rimasto inalterato. Oltre alla condanna il pm (oggi aggiunto a Firenze ma applicato a questo dibattimento) aveva sollecitato il sequestro di 223.500 euro, il corrispettivo dei finanziamenti ricevuti dalla fondazione Nuova Italia che – sempre all’epoca di Mafia capitale – faceva riferimento proprio al sindaco. E anche in questo caso la decisione del tribunale ha superato la richiesta dell’accusa: sotto sequestro finirà l’intero ammontare dei finanziamenti ricevuti da Nuova Italia, 298mila euro.


Finanziamenti in chiaro, tramite un mandatario, Fabrizio Pescatori, eppure dice oggi la corte, comunque prezzo pagato in cambio della corruzione. Buona parte di quei soldi, 60mila euro, sono finiti direttamente sul conto dell’ex sindaco, mentre 10mila ad una cooperativa considerata di area e che era finita nel giro delle spartizioni di commesse affidate senza bando che erano poi la formula magica del successo di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati nelle stanze del Comune. La Fondazione, è l’assunto, non esisteva né faceva attività culturale ma si limitava a rappresentare la cassaforte “pubblica” del sindaco e non a caso a lungo è stata guidata dall’allora presidente di Ama, Franco Panzironi, condannato nel processo principale per mafia. Alemanno, presente in aula, ha replicato: «Ricorreremo sicuramente in appello dopo aver letto le motivazioni. Io sono innocente, l’ho detto sempre e lo ribadirò anche davanti ai giudici di appello». Tra le pene accessorie, l’obbligo di risarciere Ama e Roma Capitale. Alla lettura del dispositivo era presente anche il presidente del tribunale di Roma, Franco Monastero.


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