Direttiva europea sul copyright, cosa dice il testo e perché non riguarda Wikipedia

Oggi, 26 marzo, il testo finale è stato approvato dal Parlamento europeo. Dopo tre anni di contrattazioni molte norme sono state smussate. Intanto la pagina italiana della più grande enciclopedia al mondo continua a rimanere oscurata

Ricerca su Google. Risultato con pagina di Wikipedia. Click. Qualche istante e lo schermo diventa nero con un comunicato, caps lock bianco su sfondo nero: «Questa può essere la nostra ultima possibilità». Il 25 e 26 marzo la versione italiana di Wikipedia non era più consultabile. Cercando qualsiasi voce, l’unico contenuto che appariva era un comunicato in cui si invitavano gli utenti a contattare i deputati del Parlamento europeo per chiedere loro di non votare la direttiva sul copyright.


Era giù successo. Wikipedia Italia aveva deciso di oscurare tutte le sue voci il 3 luglio, sempre per lo stesso motivo. Oggi, 26 marzo, il Parlamento europeo ha dato il suo voto definitivo e positivo alla versione finale del testo a cui si stava lavorando da mesi


La direttiva sul copyright, i diritti di chi crea contenuti

Con il voto del Parlamento di Strasburgo Internet chiuderà i battenti? No. E nemmeno sarà impossibile condividere qualsiasi contenuto. È difficile però fare chiarezza su cosa succederà ora che il testo è stato approvato definitivamente dal Parlamento.

La direttiva è un atto legislativo che stabilisce un obiettivo, un punto a cui tutti i Paesi europei devono arrivare. Non specifica esattamente che strada bisogna percorrere, ma lascia al Parlamento di ogni Stato la libertà di scegliere come fare, così che ognuno possa votare le leggi e le riforme migliori per il proprio territorio. Questo è uno dei punti deboli della direttiva sul copyright: per quanto vengano indicate delle linee guida generali, non è del tutto chiaro come poi verranno applicate effettivamente da ogni Paese.

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Wikipedia aveva già protestato contro la direttiva sul copyright lo scorso anno, il 3 luglio 2018

Gli articoli di cui si è parlato di più negli ultimi mesi sono due: l’11 e il 13. Nella versione finale del testo si sono trasformati rispettivamente nel 15 e nel 17, ma il contenuto è rimasto lo stesso. L’obiettivo di questi punti, e in generale di tutta la direttiva, non è la censura. L’idea piuttosto è quella di tutelare chi produce i contenuti che circolano sul web. Di qualsiasi tipo, dal cinema alla musica, passando per l’editoria. Un tema delicato, che mette in contrasto due fronti diversi: i produttori di contenuti e le piattaforme su cui i contenuti circolano.

Le questioni affrontate nel testo

Prima di vedere gli articoli nel dettaglio, facciamo due esempi. Uno dei problemi che questa direttiva cerca di arginare e il caricamento sulle piattaforme di materiale illecito. Basta pensare a YouTube. Prima dell’arrivo di Spotify, capitava spesso di trovare gli album appena usciti caricati interamente sulla piattaforma di Google. Niente di elaborato. Foto fissa e musica in sottofondo. YouTube negli ultimi anni ha sviluppato tecnologie sempre più sofisticate per riconoscere questi contenuti e per eliminarli subito. Ora è abbastanza difficile caricare un brano di cui non si hanno i diritti, se non modificandolo.

Il secondo problema è quello di riconoscere il lavoro di chi questi contenuti li crea. Qui entra in campo anche l’editoria, in particolare il giornalismo. Provate a immaginare come sarebbe Google News senza i contenuti prodotti dai quotidiani online. La risposta è semplice: vuoto. L’anteprima di un articolo, o anche solo il suo titolo costituisce di fatto un contenuto e se qualcuno lo usa per fornire un servizio, è giusto che riconosca una compenso. D’altra parte è proprio grazie a questi spazi che gli editori possono puntare ad arrivare a un numero di utenti più alto di quelli raggiunti dal loro sito.

Articoli 11 e 13, cosa dicono e perché preoccupano

Lo abbiamo già anticipato. Gli articoli al centro di polemiche erano due: il 15 e il 17. Il 15, ex articolo 11, all’inizio prevedeva che chi utilizza le anteprime degli articoli dovesse pagare un compenso all’editore. Si parlava di snippet, quelle anticipazioni di poche righe che appaiono quando, per esempio, un articolo compare sulle ricerche di Google. Nell’ultima versione questa norma è stata diluita: non si parla più di anticipazioni, ma di estratti molto brevi o singole parole, definizioni poco chiare che poi verranno interpretate dagli Stati membri quando dovranno tradurre la direttiva in legge.

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Dopo tre anni di contrattazioni, il 26 marzo al Parlamento europeo sarà votato il testo finale della direttiva

Il secondo articolo è il 17, ex 13. Questo articolo cerca di mettere un punto a una questione che negli ultimi anni sta diventando sempre più importante. Il testo infatti prevede che siano le piattaforme ad essere responsabili dei contenuti caricati. Un passaggio non indifferente per due motivi. Il primo è quello del monitoraggio. Facebook e YouTube hanno già messo in campi tecnologie e persone per riconoscere i contenuti che non rispettano le norme delle loro community.

Un conto, però, è rispondere in modo tempestivo alle segnalazioni, un conto è essere responsabili del controllo di tutti i contenuti caricati dagli utenti. Il rischio, in questo caso, è un eccesso di censura che porterebbe le piattaforme, in caso di dubbio, a optare per la soluzione più semplice: eliminare il contenuto caricato. In ogni caso questo monitoraggio avrebbe costi sostenibili solo per le grandi aziende, non per quelle piccole.

Oltre alla questione del monitoraggio, questo articolo porterebbe a un ribaltamento di prospettiva. Facebook, YouTube e Instagram passerebbero da semplici piattaforme a editori. Un cambio di passo che comporta molte più responsabilità, come si è visto nella lotta alle fake news. Un passaggio che le big tech non sembrano molto intenzionate ad affrontare. Meno di un anno fa, ad aprile 2018, Mark Zuckerberg dichiarava: «I consider us to be a tech company, not a media company». Anche in questo caso però l’articolo è stato sfumato versione dopo versione e alle aziende non si chiede più di garantire una responsabilità completa, ma si parla solo di assicurare il «massimo sforzo».

La scelta di Wikipedia: «Troppi punti ambigui»

Lorenzo Losa, presidente di Wikimedia Italia (l’associazione che gestisce l’enciclopedia), aveva dichiarato a Open che la scelta di oscurare il sito era arrivata dagli utenti: «Ne discutevamo da parecchio. Nelle ultime due settimane ci siamo chiesti cosa fare. Alla fine la community ha scelto di seguire quello che è stato fatto anche da altre edizioni».

Dai limiti tracciati della direttiva è però abbastanza chiaro che Wikipedia sarà esclusa da queste norme, in quanto progetto non a scopo di lucro. Lorenzo Losa spiega però che questo non è un motivo sufficiente per lasciar perdere tutta la questione: «Secondo noi ci sono molti punti ambigui in questa direttiva, che non si capisce bene come potrebbero essere messi in pratica dagli Stati. Abbiamo sollevato dei dubbi su alcune norme e la risposta “Tranquilli voi siete esclusi” non ci convince molto».

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