CasaPound e la corsa alle periferie: ora è il primo partito di estrema destra

Cortei ovunque ci sia disagio sociale e problemi di integrazione. La strategia mirata sulle realtà del disagio può pagare elettoralmente alle europee del 26 maggio

Quando le caratteristiche sono quelle giuste – disagio sociale, problemi di integrazione, campi rom o centri di accoglienza – sono tra i primi ad arrivare per cavalcare la protesta. È successo due giorni fa a Torre Maura, quando i residenti sono scesi in strada contro l’arrivo, in uno spazio di accoglienza dedicato al disagio sociale, di un centinaio di persone di etnia rom fino al giorno prima ospitate a 4 chilometri di distanza: CasaPound ha acceso i riflettori della diretta Facebook e ha organizzato la mobilitazione, non disdegnando la convocazione delle telecamere. La formula, in genere, funziona. Per rimanere a Roma, è accaduta la stessa cosa a ottobre: il gruppo di estrema destra, assieme a Fratelli d’Italia e Lega, ha organizzato giorni di protesta perché in zona Settecamini stava per aprire un “Centro di accoglienza straordinario” per migranti. Dopo la mobilitazione, alla cooperativa che aveva vinto il bando lanciato dalla Prefettura è stato comunicato che non se ne faceva più nulla.


La salita a Nord

Nel corso del tempo il modello, nato a Roma, è stato esportato anche al Nord. Milano è un esempio. Qui si è auto trapiantato il romano Marco Clemente e proprio lui era in prima fila quando l’organizzazione di estrema destra cercò di bloccare il consiglio comunale per protestare contro il sindaco Beppe Sala e l’indagine su Expo. Il capoluogo piemontese si è fatto notare negli ultimi mesi. Il leader Matteo Rossino, responsabile provinciale del movimento della tartaruga frecciata, quasi tutte le settimane organizza ronde notturne a Barriera milanese, estrema periferia di Torino, e contesta il comportamento del sindaco Cinque Stelle Chiara Appendino.


Cosa dicono i numeri

Se, nella propaganda del gruppo neofascista, quel che più conta è il radicamento nelle periferie dove il disagio esiste davvero, qui i risultati elettorali danno poche soddisfazioni. La grande mobilitazione finisce quasi sempre per premiare i competitor più forti, Lega e Fratelli d’Italia: soprattutto con i primi in molti casi i rapporti sono buoni, ma al momento il partito di Matteo Salvini preferisce fare campagna acquisti tra alcuni esponenti di destra. Un’alleanza che tuteli l’esistenza di CasaPound come partito non è mai stata in campo, almeno finora. Il caso del quartiere di Torre Maura è significativo: il VI municipio è l’unica zona di Roma in cui la lista di Fratelli d’Italia e Lega è arrivata seconda e non terza (altrove la battaglia è stata tra Pd e Cinque stelle), con 20 mila voti alla lista. Quanti ne ha presi invece CasaPound? 1.371, con coincidenza tra voti di lista e voti al candidato presidente.

Certo, decisamente meglio del 2013 quando il candidato presidente ebbe 505 preferenze, ma non si può parlare di boom. Alle Regionali del Lazio, nel 2018, il candidato Mauro Antonini – lo stesso che ha guidato la mobilitazione di questi giorni a Torre Maura – si è posizionato quinto, con 60.131 preferenze, 40 mila circa alla lista CasaPound (per capirci, la sola Lega Nord che sosteneva Stefano Parisi ne ha presi 252.772). È andata meglio di cinque anni fa? Sì ma non troppo: Simone Di Stefano, leader nazionale del movimento, aveva avuto 26.026 preferenze (la Lega si presentò solo a Roma, con i nome Lega Centro e prese 32.979 preferenze).

L’exploit nazionale

Basta guardare i risultati nazionali, però, per capire la formula magica. Più del radicamento territoriale, quel che pesa è l’eco che ogni mobilitazione ha sui media e sui social. Dirette Facebook, cortei scenografici, inviti a giornalisti di primo piano per un confronto, tutto porta non tanto alla crescita nelle periferie in quanto tale, ma ad incassare risultati a livello nazionale. E qui, davvero, i risultati si vedono.Alle elezioni dello scorso anno Casapound ha avuto 312.432 voti alla Camera, 259.718 al Senato. È così che si è posizionata come primo partito dell’estrema destra, doppiando Forza Nuova che ha preso 126.543 voti uninominali alla Camera. Ben di più che nel 2013, quando il partito fondato da Gianluca Iannone e Di Stefano aveva avuto 47.911 voti alla Camera e 40.716 al Senato. E Forza Nuova guidava l’area di destra estrema con 81.578 voti al Senato e 90.047 alla Camera. Tutto fa pensare che lo stesso meccanismo possa ripetersi anche a maggio con le Europee. Insomma, cortei in periferia sì. Purché lo streaming funzioni bene.