Chi è il maggiore Sharif, il coetaneo di Giulio che ha ammesso di averlo sequestrato

Comprimario nella scala gerarchica che avrebbe gestito il rapimento, il maggiore all’epoca dei fatti aveva trent’anni

Oggi ha 35 anni, quattro in più di quelli che avrebbe avuto Giulio Regeni se avesse continuato a vivere. È forse questo il dato che più impressiona a leggere il ritratto del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, l’ufficiale della National security egiziana (una specie di via di mezzo tra un servizio segreto e una forza di polizia più tradizionale) che ha ammesso, come raccontato da un testimone, di aver sequestrato e picchiato (forse fino ad ammazzarlo) il ricercatore italiano che lavorava al Cairo.


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Filippo Sensi / Twitter | L’aula della Camera durante la discussione sull’Istituzione della Commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni


Sharif è nell’elenco degli indagati per sequestro di persona (non ancora per omicidio) della procura di Roma dal 4 dicembre del 2018. E anche prima della testimonianza di una persona che ha raccontato di averlo sentito descrivere i passaggi principali del sequestro e del pestaggio nei confronti di Regeni, Ros e Antiterrorismo della polizia avevano raccolto parecchi elementi sul suo conto e su quello degli altri indagati, come Open aveva anticipato il 24 gennaio scorso.

Ma chi è e che ruolo ha il maggiore Sharif?

Sharif è sostanzialmente il braccio operativo dell’intera operazione Regeni. E’ il numero tre della catena di comando che gestisce prima l’indagine e quindi il sequestro (e ha contatti con gli agenti che organizzano il primo tentativo di depistaggio dopo il ritrovamento del corpo di Giulio, avvenuto il 3 febbraio 2016).

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Open | La scala gerarchica che ha gestito il sequestro di Giulio Regeni

Gli atti giudiziari raccolti dalla procura di Roma, dicono che Sharif è accanto al generale Sabir Tareq e al colonnello Usham Helmy in tutte le fasi dell’indagine. Ed è la persona che si occupa di mantenere i contatti diretti con l’informatore che ha accusato Regeni di essere una spia.

L’indagine su Regeni

Gli atti giudiziari dicono che, in sostanza, è proprio Sharif ad occuparsi di tutta l’inchiesta. La cronologia è fin troppo chiara e possiamo trarla direttamente dagli atti giudiziari. Come è noto, l’indagine sul giovane ricercatore italiano parte dalla “soffiata” di un leader del sindacato degli ambulanti, Mohammed Abdallah, che dopo aver provato a taglieggiare Regeni – chiedendogli conto dei soldi contenuti in una borsa di studio con cui Giulio voleva finanziare la ricerca sulla sindacalizzazione del lavoro di strada in Egitto – si presenta alla polizia per accusarlo.

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Ansa | Giulio Regeni

A novembre, Sharif Magdi, riceve assieme al generale Tareq e al colonnello Helmy, proprio nella sede della National security, l’ambulante Abdallah che – accompagnato dal colonnello Kamal Ather – racconta la sua velenosa storia a proposito di Regeni.

Tutto, a quel punto, si muove molto velocemente:

  • Il 7 dicembre Sharif chiede ad Abdallah di rivedere Regeni e portarlo al mercato;
  • il 15 dicembre è lui a chiedere ad un agente di andare nel palazzo di Giulio e chiedere una copia del suo passaporto al portiere:
  • il 18 dicembre chiede ad Abdallah di informarsi ulteriormente sul finanziamento dal 10mila sterline contenuto nella borsa di studio di cui lo stesso Regeni ha parlato al sindacalista;
  • il 5 e 6 gennaio 2016 Sharif partecipa alle riunioni per pianificare la videoregistrazione dell’incontro tra Abdallah e Giulio;
  • dal 8 al 21 gennaio chiama al telefono Abdallah per ben 13 volte:
  • il 22 gennaio confida al sindacalista che il 25 Regeni sarà tenuto sotto osservazione (la data del rapimento è anche l’anniversario della rivolta di piazza Tahrir);
  • Qui, ora gli atti giudiziari, aggiungono un ulteriore tassello. Lo stesso Sharif, infatti, avrebbe confidato i dettagli del sequestro, avvenuto il 25 gennaio 2016.

Inutile dire che prima della testimonianza del funzionario africano che ha ascoltato una sua conversazione in cui descriveva il sequestro, Sharif ha negato agli investigatori italiani. Sostenendo di non conoscere neppure il suo diretto superiore, il colonnello Helmi. Ora, dopo la testimonianza raccolta dagli inquirenti italiani, l’attenzione torna sui rapporti diplomatici tra Italia ed Egitto.

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