Valle del Sacco, discariche e rifiuti tossici in uno dei luoghi più inquinati d’Italia

Fabbriche chiuse, proprietari dileguati o sotto inchiesta, curatori fallimentari ma soprattutto le eredità a carico di chi resta e vive qui: da Colleferro a Ceprano, settanta chilometri da incubo nel ventre del Paese.

Un’area enorme, il cuore dell’Italia: saccheggiata, ferita e intossicata. Anni, decenni di inquinamento industriale, di discariche abusive (e non) e di lentezze burocratiche, sversamenti illegali nel fiume e rifiuti interrati. Fabbriche chiuse, proprietari dileguati o sotto inchiesta, curatori fallimentari ma soprattutto le eredità a carico di chi resta e vive qui. È la Valle del Sacco, tra la zona a sud di Roma e la provincia di Frosinone: uno dei posti più inquinati d’Italia, forse d’Europa. A pochi chilometri dalla capitale.


Il fiume Sacco, affluente del Liri, ha fatto parlare di sé negli ultimi mesi per la schiuma bianca che ne ha invaso il letto: secondo le analisi dell’Arpa, è causata da vernice, detergenti, emulsionanti. Prima della schiuma era stata la volta delle mucche. Era il 2005 quando venticinque bovini erano stati ritrovati nei dintorni di Anagni con la schiuma fuori dal naso, morti sul colpo a causa (si scoprirà) del cianuro scaricato abusivamente nel rio Mola Santa Maria, affluente del fiume Sacco. I comuni della valle restano in allerta, nell’attesa della bonifica dei luoghi più inquinanti.


Intervento che tarda ad arrivare ma che a marzo ha visto una ripartenza: il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa che anticipa un finanziamento di 53,6 milioni di euro per la messa in sicurezza dell’area. Il prossimo passo saranno le caratterizzazioni – ovvero il monitoraggio – per poi passare alle bonifiche vere e proprie.

Colleferro, eredità bellica e rifiuti da smaltire

Colleferro, la discarica di Colle Fagiolara che dovrebbe essere chiusa entro la fine del 2019 / Angela Gennaro
La discarica di Colle Fagiolara, che dovrebbe essere chiusa entro la fine del 2019, Ceprano, Roma, 17 maggio 2019/Foto Angela Gennaro

L’atmosfera, a Colleferro, 21mila abitanti a sud di Roma, è felliniana. E non certo per la presenza del circo in città, cammelli inclusi. Una discarica (a pochi passi da una scuola) che dovrebbe chiudere entro l’anno e che «riceve anche i rifiuti della Capitale», quella di Colle Fagiolara, oltre ai due inceneritori chiusi di Colle Sughero e il centro urbano pianificato dall’ingegnere Riccardo Morandi, lo stesso del ponte di Genova crollato nell’agosto del 2018, segnano il volto del paese. Colleferro è l’inizio del Sin, “Sito di interesse Nazionale” per l’inquinamento del bacino della Valle del Sacco. Un’area di 800 ettari che rappresenta una summa dell’inquinamento di tutta l’area. Con dati ancora tutti da scoprire, pare.

Ministero dell’Ambiente | Mappa del Sin Bacino Valle del Sacco

«Nella vecchia gestione del Sito di interesse nazionale avviata nel 2005 erano state realizzate le caratterizzazioni, cioè le verifiche del grado di contaminazione dei suoli e delle acque sotterranee», spiega a Open Alberto Valleriani, portavoce del network Rifiutiamoli. «Da poco abbiamo scoperto che probabilmente queste caratterizzazioni, nella nuova gestione ordinaria – riservata al ministero dell’Ambiente – potrebbero non essere valide: non c’è stato il contraddittorio dell’ente di controllo, cioè campioni prelevati dal privato confrontati con campioni prelevati dall’Arpa Lazio, quindi l’agenzia regionale per l’ambiente».

Morale: al momento non si può sapere quale sia il grado di contaminazione e, «se questo intoppo venisse confermato nelle prossime riunioni istruttorie, bisognerà rifare il monitoraggio». Altro tempo, per un’area che attende una svolta da decenni. E in cui si muore: «Sono sempre di più gli amici e conoscenti che se ne vanno. Sta cominciando ad essere difficile arrivare a 60 anni», dice Alberto.

La storia di Colleferro, circondata da verdi e morbide colline costellate di ciminiere e industrie in vita o chiuse per sempre, è legata a doppio filo a quella della Bomprini Parodi Delfino BPD. Il paese stesso è sorto negli anni ’30 per ospitare i lavoratori della fabbrica di esplosivi nata nel 1912. «La vocazione industriale di Colleferro è stata negli anni ulteriormente sviluppata con il sostegno della politica di incentivazione promossa dalla Cassa per il Mezzogiorno, al punto che nel 1961 la città è stata nominata ‘Nucleo di Industrializzazione Valle del Sacco’, poi, nel 1967 ‘Area di Sviluppo Industriale’»,si legge sull’Atlante Italiano dei Conflitti Ambientali.

«Le principali attività industriali hanno riguardato, oltre alla produzione di elementi chimici, quali pesticidi agricoli, concimi, colla, detergenti, saponi, plastica che hanno preso il posto degli esplosivi con l’acquisizione della BPD da parte dell’azienda Snia, anche la produzione di propulsori militari e spaziali per l’azienda Avio, la produzione di pozzolana per la Italcementi, la costruzione e manutenzione di carrozze ferroviarie». L’eredità di tutto questo è, nella stragrande maggioranza dei casi, tutta ancora da bonificare, tra fusti interrati, sversamenti nel fiume, diffusione di malattie respiratorie.

Ceprano e il “mostro” più pericoloso

A valle la situazione non migliora, anzi. Ceprano è il limite meridionale del Sin. È qui che c’è il vero mostro, l’area più pericolosa di tutta la Valle del Sacco, spiega il sindaco Marco Galli: quella delle ex industrie Olivieri. Quasi 9mila abitanti, il suo è un paese dove di mostri ce ne sono tanti, troppi. L’ex cartiera di fine ‘800 sulle sponde del fiume Liri, nel centro del paese, con il suo capannone dal tetto in amianto, l’area ex Europress, sempre a due passi dal centro e dal cimitero cittadino, in cui sono stati ritrovati fusti contenenti solventi, inchiostri, colle, rigorosamente interrati.

Fusti all'interno di container del ministero dell'Interno dentro all'area delle ex Industrie Olivieri, Ceprano, Frosinone, 17 maggio 2019/Foto Angela Gennaro
Fusti all’interno di container del ministero dell’Interno dentro all’area delle ex Industrie Olivieri, Ceprano, Frosinone, 17 maggio 2019/Foto Angela Gennaro

La Olivieri, nel tempo, ha portato avanti diversi tipi di attività: solventi, combustibili. La sua area è divisa tra il territorio comunale di Ceprano e quello di Falvaterra. È il 2010 quando la Guardia di Finanza scopre fusti tossici sotterrati sulle rive del fiume Sacco. E da lì risale allo stabilimento, al cui interno trova vasche scavate a terra e cariche di rifiuti farmaceutici e ospedalieri. Sono stati interrati qui a partire dagli anni ’90. A marzo scorso il rappresentante legale e il direttore tecnico sono stati rinviati a giudizio. «I finanziamenti per le bonifiche arrivano per due tranche dalla Regione Lazio e dal Ministero, per le annualità 2015-2016 e 2017 per un totale di 53 milioni di euro», conferma il sindaco Marco Galli. «Grazie alla costituzione del Sin siamo riusciti ad avere questo risultato. La partenza è prevista tra 15 mesi e i lavori dovrebbero poi concludersi in quattro anni».

L'interno dell'area delle ex Industrie Olivieri, Ceprano, Frosinone, 17 maggio 2019/Foto Angela Gennaro
L’interno dell’area delle ex Industrie Olivieri, Ceprano, Frosinone, 17 maggio 2019/Foto Angela Gennaro

Le ex Olivieri sorgono su un’area industriale attigua ad un’area agricola. Case, abitate, distano pochi metri da questi residui di fusti stipati in container aperti e maleodoranti. «In questi 500 metri di strada ci sono pozzi chiusi – spiega l’assessora all’Ambiente Elisa Guerriero. Le abitazioni devono rifornirsi con altra acqua». Ma, soprattutto, ci sono i danni alla salute. «Su questa strada è morto un bambino, poi suo padre, qualcun altro si è ammalato, qualcuno che è ancora ammalato. Per noi è un costante magone stare qui», dice Guerriero. «La questione ambientale sembra spesso lontana e retorica. Non lo è: qui la gente ci vive e si ammala».

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