Le grandi manovre per mettere i bastoni tra le ruote a Salvini che vuole andare subito al voto

Forse il voto immediato non è una conseguenza così naturale di questa crisi di governo. Sono in tanti a voler tenere ancora aperto il Parlamento

«Al voto, subito!», tuonava già l’altro ieri Salvini, staccando la spina al governo. «Al voto!», raccoglievano la sfida gli alleati traditi del M5s, i futuri alleati di Fratelli d’Italia, gli aspiranti alleati di Toti, e i ripudiati di Forza Italia. «Al voto, senza scorciatoie o pasticci», rilanciavano le varie anime del Pd, come a ammonirsi a vicenda a non fare scherzi. Ma il coro è durato solo un giorno.


Poi ha cominciato a farsi largo una serie di ragionamenti politici e personali, tutti in controtendenza: «E perché mai dovremmo sottostare al diktat di Matteo Salvini? Lui sa che oggi prenderebbe il 40%, e per questo vuole il voto subito. Ma non è sicuro che le condizioni saranno altrettanto favorevoli aspettando un mese in più. Magari ha fretta perché sa che arriverà qualcos’altro su Savoini e la Russia. Magari vuole evitare di fare la manovra prima del voto, per non controfirmare misure necessarie ma impopolari».


Tra i 5 stelle, presi d’infilata dal voltafaccia leghista, gioca anche la voglia di restituire lo sgarbo, e di recuperare le condizioni per affrontare, con più tempo a disposizione, una campagna elettorale meno segnata dal fallimento del governo. Sono calcoli, appunto, che in queste ore fanno diverse forze politiche: «Perché correre a consegnare il Paese a uno solo? Almeno giochiamocela, e facciamo vedere che non decide Salvini quando e in che condizioni si vota».

Tutto ciò si vedrà già lunedì, quando si riunirà la conferenza dei capigruppo del senato, per decidere quando convocare l’aula per l’atto finale del governo Conte. «Subito» dirà la Lega. «La prossima settimana» sarà la decisione. E quando il 20 o il 21 inizierà quella fatidica seduta i colpi di scena sono tutt’altro che esclusi, perché ognuno giocherà la sua partita.

Attaccando i punti deboli del leader leghista, a partire dalla questione Viminale: non può essere Salvini a sedere in quel posto – decisivo per le operazioni di voto – durante la campagna elettorale. Quindi – secondo una corrente che si sta rafforzando ora dopo ora – va fatto un nuovo governo di garanzia. E anche questo potrebbe allungare i tempi.

Ma a lato delle scelte politiche e procedurali si fa sentire il fattore umano: andare al voto subito esporrebbe molta parte degli attuali parlamentari al rischio (quando non la certezza) di non essere rieletti. Nel M5s, innanzitutto: tra perdita di metà dei voti, e quindi dei posti, e regola dei due mandati rischia di tornare a casa molto prima del tempo il 70% degli eletti attuali.

Così anche i renziani del Pd, che oggi sono ancora la maggioranza dei gruppi parlamentari, ma verrebbero molto ridimensionati nelle nuove liste di Zingaretti. L’elenco potrebbe essere lungo, e porta a una certezza: che nell’attuale parlamento c’è una maggioranza assoluta di deputati e senatori che non ci saranno nella prossima legislatura.

E questo potrebbe portare nei prossimi giorni a molte sorprese. Di certo ci proveranno: molti conoscono già l’argomento, perché c’è già stato un voto in autunno nella recente storia italiana, il 4 dicembre 2016. Il referendum costituzionale, un altro Matteo contro tutti, e si sa come è finita.

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