Tutto quello che c’è da sapere sul finanziamento pubblico e privato ai partiti

Al via il dibattito al Senato fortemente voluto da Italia Viva dopo l’inchiesta sulla Fondazione Open. Cosa stabiliscono le norme vigenti, come è cambiata la legislazione, quali sono le posizioni dei partiti, come si collega questo tema alle regole del lobbyng e come funziona negli altri Paesi

Oggi, 12 dicembre, prende il via al Senato il dibattito sul finanziamento ai partiti, fortemente voluto da Italia Viva dopo le polemiche scoppiate a seguito dell’inchiesta sulla Fondazione Open. Si attende soprattutto l’intervento di Matteo Renzi, che si è iscritto a parlare e chi da giorni battaglia sui social network con l’hashtag #colposucolpo. Nei giorni scorsi, sulla materia, prevista nel dl fisco, è saltata la norma che rinviava l’applicazione del provvedimento che equipara le regole di trasparenza tra partiti e fondazioni.


Per orientarsi nel dibattito è forse necessario chiarire cosa stabiliscono le norme vigenti a proposito di finanziamenti pubblici e privati alla politica, come è cambiata la legislazione, quali sono le posizioni dei partiti su eventuali modifiche alla normativa, come si collega questo tema alla regolamentazione del lobbyng e come funzionano le cose negli altri Paesi.


Come è regolamentato il finanziamento ai partiti

L’attuale regolamentazione dei finanziamenti ai partiti politici nasce sotto il governo presieduto da Enrico Letta, nella XVII legislatura, e viene comunemente associata al suo nome. Con il decreto legge 47/2013, convertito dalla legge 13/2014, il finanziamento, nelle modalità precedentemente concepita (che vedremo) è stato abolito. La norma ha eliminato anche i rimborsi elettorali che avevano sostituito il finanziamento ai partiti, già decaduto con il referendum dei Radicali del 1993, ma di fatto sopravvissuto. Non si è trattato di un taglio netto, ma graduale: i rimborsi elettorali sono stati pagati infatti fino al 2016.

Questo per quanto riguarda il finanziamento diretto ai singoli partiti. Ancora in vigore invece alcune forme di finanziamento indiretto. Il più cospicuo è quello secondo cui, in base ai regolamenti di Camera e Senato, i gruppi parlamentari ricevono contributi per finanziare le proprie attività istituzionali. I fondi provengono dalle casse di Camera e Senato e sono quindi finanziati da fondi pubblici. Per avere un’idea dell’ordine di grandezza, nel 2019 i gruppi alla Camera riceveranno 31 milioni di euro a fronte dei 22 milioni del Senato.

Questo per quanto riguarda il pubblico. Sul fronte dei finanziamenti privati la stessa legge Letta ha introdotto la possibilità di poter richiedere ai simpatizzanti il 2 per mille: piccola quota dell’Irpef che i cittadini possono decidere di devolvere ai partiti, al momento della compilazione della dichiarazione dei redditi. Oltre al contributo del 2 per mille, la politica può avvalersi delle cosiddette “erogazioni liberali”, cioè vere e proprie donazioni di privati. Si tratta di contributi che non posso superare i 100mila euro e sono detraibili fino a 30mila. A seguito dello taglio del finanziamento pubblico ai partiti si è verificata una proliferazione di fondazioni collegate ai partiti o a singoli politici: per evitare che i contributi alle fondazioni finiscano per nascondere finanziamenti ai partiti, la legge spazza-corrotti ha equiparato gli stessi partiti alle fondazioni legate a forze politiche.

Come era regolamentato il finanziamento ai partiti

Il finanziamento pubblico ai partiti, come l’abbiamo conosciuto negli ultimi decenni del secolo scorso, nasce nel 1974 con la legge Piccolo: le intenzioni erano quelle di porre rimedio agli scandali conseguenti a numerosi casi di corruzione. La norma prevedeva sia il finanziamento dell’attività legata alla campagna elettorale, sia il finanziamento ai gruppi parlamentari, costretti a versare il 95% di quanto ricevuto nelle casse dei partiti di riferimento.

Questo finanziamento venne progressivamente aumentato dal 1981 fino al 1993, anno i cui i Radicali, sull’onda di Tangentopoli e della conseguente indignazione dell’opinione pubblica, proposero il referendum per l’abolizione del contributo: prevalse il sì e fu abolito il contributo ai gruppi, ma non quello elettorale. Tra il 1993 e il 1999 però quest’ultimo lievitò, di fatto sostituendo il finanziamento abolito. Prima della regolamentazione Letta, il governo di Mario Monti nel 2012 ridusse i rimborsi e tentò di ordinare unitariamente la disciplina, ma concluse il suo mandato prima di riuscirci.

Le posizione dei partiti oggi: chi vuol tornare al finanziamento pubblico e chi no

L’inchiesta sulla fondazione Open di Matteo Renzi ha riacceso il dibattito, in realtà mai sopito, sul tema del finanziamento ai partiti, sia pubblico sia privato. Senza più l’esborso pubblico, i partiti si devono rivolgere ai privati: che l’attività politica abbia un costo, grande o piccolo che sia, è un’evidenza non confutabile. Naturalmente, come vedremo più avanti, lasciare che la politica sia totalmente finanziata dai privati, che hanno i loro interessi, può portare a dei rischi per il funzionamento della macchina democratica.

Matteo Renzi continua ad essere un fautore del finanziamento privato e ribadisce che a suo giudizio «era giusto cancellare il finanziamento pubblico ai partiti». Ma collateralmente alla vicenda Open si allarga il fronte trasversale di chi vorrebbe re-introdurre, in qualche forma, un contributo pubblico alla politica. Il senatore e tesoriere del Pd Luigi Zanda, è, tra gli altri, primo firmatario di un disegno di legge per la reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti attraverso l’istituzione di un fondo da 90 milioni di euro provenienti dalle casse del ministero dell’Economia.

La proposta, che aveva scatenato le ire del Movimento 5 Stelle, ricalca in sostanza la norma che disciplina i rimborsi previsti per le forze politiche rappresentate nei gruppi del Parlamento europeo. Storico sostenitore del contributo pubblico alla politica è l’ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti che definisce «l’errore degli errori aver ceduto agli anti-casta e aver eliminato i rimborsi pubblici», perché «la democrazia va difesa e i partiti vanno aiutati a migliorare loro stessi e la loro attività».

Dello stesso tenore anche la posizione di Matteo Orfini, parlamentare e ex presidente del Partito Democratico: «O si ripristina il finanziamento pubblico (ovviamente con forme e modalità differenti da prima) oppure si accetta e si incentiva il finanziamento privato, con tutto il conseguente potere di condizionamento degli interessi economici. Inutile dire che tra le due opzioni io sono per il ripristino del finanziamento pubblico»

Fuori dall’area dem anche in Forza Italia si è pronti a riaprire la questione. Ha chiarito la posizione del partito fondato da Silvio Berlusconi, il suo vicepresidente Antonio Tajani: «Noi crediamo che sia stato un errore chiudere ogni possibilità di accesso al finanziamento pubblico. Forse – osserva l’ex Presidente del Parlamento europeo – bisogna cominciare a riflettere, perché se si toglie il finanziamento pubblico e si torna al finanziamento privato non regolare allora le cose non vanno meglio di prima».

Strenuamente contrari a ogni finanziamento pubblico ai partiti, che ne fa un atto fondativo, è il Movimento 5 Stelle. Di più, il capo politico del Movimento Luigi Di Maio e l’ex parlamentare Alessandro Di Battista si sono più volte fatti promotori di una Commissione d’inchiesta sul tema dei contributi alle forze politiche.

Finanziamento ai partiti e lobbing

Quella di Enrico Letta, che nella sostanza doveva essere una riforma del sistema del finanziamento alla politica nel suo complesso, si fermò all’eliminazione dei contributi pubblici, lasciando però di fatto scoperto dal punto di vista giuridico il dettaglio della normativa su quello privato: in sostanza cioè che viene chiamato regolamentazione del lobbyng, ovvero le norme che regolano i rapporti fra imprese e politica. In pratica non esiste oggi in Italia un sistema articolato che garantisca la trasparenza dei rapporti nel finanziamento di chi si occupa del pubblico da parte di chi ha interessi privati, se non in una legislazione a macchia di leopardo.

Questo vuoto legislativo crea problemi sia alle aziende che vogliano legittimamente contribuire e che posso rischiare di cadere in infrazioni, quando in veri e propri reati, sia per i partiti che rischiano di far entrare nelle proprie casse donazioni interessate; ma in difficoltà sono anche i cosidetti “portatori di interessi”, cioè i lobbisti: figura in Italia vista con tratti criminali, ma che per esempio negli Stati Uniti ha una propria dignità e legittimità.

Il modello statunitense era quello di riferimento nella riforma Letta. Senza entrare nel dettaglio dei contributi permessi e di quelli vietati, in questa sede è l’aspetto legato alle norme collegate al lobbying a essere interessante: le donazioni da parte dei lobbisti, soggetti che hanno precisi obblighi di trasparenza e redicontazione delle loro attività, sono soggette a controlli severissimi. Tutto ciò all’interno di un sistema in cui l’attività di lobbying (e conseguentemente di donazione privata alla politica) è, alla stregua della libertà di parola, uno dei pilastri del pluralismo.

Come funziona negli altri Paesi europei

Anche in Germania c’è stato un lungo dibattito sul tema dei finanziamenti pubblici ai partiti: la Corte Costituzionale a più riprese ha bocciato le leggi proposte dal Parlamento, fino ad arrivare al sistema attuale che si fonda sui rimborsi elettorali e non sul finanziamento diretto. Nel 1994 è stata disciplinata la materia (con successive modifiche, ancora, con una sentenza della Corte Costituzionale tedesca) e la norma prevede che ai partiti che superano determinate soglie di voti venga ogni anno corrisposto un contributo in proporzione ai voti ricevuti e uno calcolato sulla quota dei contributi versati da privati, entrambi a carico del bilancio dello Stato.

Nel 2019 lo Stato ha fissato il tetto di spesa per dar corso alla legge a 190 milioni di euro. Oltre a ciò sono previsti contributi pubblici ai gruppi parlamentari (come in Italia) e la possibilità di finanziamenti privati, deducibili entro determinate soglie (cioè in modo simile a ciò che accade nel nostro Paese).

In Francia il finanziamento pubblico dei partiti è tutto sulle spalle dello Stato e dell’Erario: l’entità massima del contributo è stabilita annualmente dalla legge finanziaria che emana due tipi di contributi (in base (art. 8 della l. 88-227 del 1988): uno è destinato ai partiti proporzionalmente ai voti ottenuti alle più recenti consultazioni politiche per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, un secondo in base alla loro rappresentanza parlamentare (ciò evidentemente per garantire anche le forze politiche minori). Inoltre c’è la possibilità di accedere a rimborsi forfettari, ma controllati, per le spese elettorali. I privati possono contribuire, ma ancora entro limiti stabiliti.

Il dossier della Camera dei deputati sul finanziamento pubblico agli altri Paesi dell’Unione Europea sottolinea che «nel sistema politico britannico il finanziamento pubblico ai partiti politici riveste tradizionalmente un ruolo marginale». «Tali caratteristiche del finanziamento pubblico – prosegue il dossier – derivano dalla natura giuridica dei partiti politici, privi di personalità giuridica e considerati al pari di organizzazioni volontarie». In sostanza nel Regno Unito sono previsti contributi economici soltanto per i partiti d’opposizione, all’interno della logica che la maggioranza possa godere dei vantaggi, economici, ma non solo, dell’essere al governo.

Questi contributi (detti Short money) sono stati introdotti nel 1975 e vengono conferiti soltanto ai partiti che hanno eletto almeno due deputati (o un deputato ma più di 150 mila voti) e si estrinsecano in tre forme: contributo per le spese di viaggio sostenute dai membri dei gruppi parlamentari (di opposizione), contributo generale per lo svolgimento dell’attività parlamentare e contributo riservato all’ufficio del capo dell’opposizione. A titolo d’esempio, nel 2018/2019, ad esempio, il Partito Laburista ha ricevuto meno di 8 milioni di sterline e tutti gli altri partiti meno di un milione di sterline. Le donazioni private sono possibili, ma regolamentate in maniera stringente e trasparente.

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