Può Berlusconi diventare presidente? Dal punto di vista dei voti è difficile ma non impossibile

È possibile che l’assemblea dei grandi elettori, composta da deputati, senatori e rappresentanti delle regioni, lo elegga davvero a successore di Sergio Mattarella?

È il conto che tutti cercano di fare nel mondo politico in questi giorni da quando si è capito che davvero Silvio Berlusconi vuole tirare dritto nella sua mission impossible verso il Quirinale: non è che alla fine ce la può fare? Intendiamoci: il problema, politico, reputazionale e di divisività è noto a tutti. Berlusconi, a seconda delle epoche, a seconda dei suoi competitori e nemici è stato chiamato in tutti i modi, «lo psiconano» (copyright di Beppe Grillo) o «il principale esponente dello schieramento avversario» (locuzione coniata dal competitore di maggiore aplomb, Walter Veltroni). Continua a essere il «Banana» di Marco Travaglio, e nel cinema resterà Il caimano del film di Nanni Moretti. Ma è anche vero – gli avversari non lo dimenticano – che una parte d’Italia lo ha votato e ne ha determinato la vittoria a più riprese, nel lontano 1994, anno della «discesa in campo», nel 2001 e nel 2008.


Una parte del paese accetta la sua narrazione di «perseguitato dai magistrati nemici e dagli avversari incapaci di batterlo sul campo», l’altra non può certo passar sopra alle indagini sulla mafia, alla condanna del suo ex braccio destro Marcello Dell’Utri, all’iscrizione alla P2, alle inchieste scabrose e ancora in parte in corso su Ruby e i festini nelle sue ville, alla condanna per frode fiscale che ne comportò la decadenza da senatore. Ma è proprio quell’onta che Berlusconi ora vorrebbe vendicare, con la più clamorosa delle riabilitazioni, al termine di una storia unica, nel bene e nel male, tra edilizia, calcio, tv e politica. Quando scese in campo aveva già 57 anni, oggi ne ha 85 compiuti: e anche la questione dell’età così avanzata pone molte obiezioni. Ma questi sono discorsi di merito e di opportunità che sentiremo a più riprese in questa lunga vigilia.


Poi c’è la sostanza delle sostanze: è possibile che l’assemblea dei grandi elettori, composta da deputati, senatori e rappresentanti delle regioni lo elegga davvero a successore di Sergio Mattarella? Vediamo: l’elezione ai primi tre turni, a maggioranza qualificata, è fuori portata. Dalla quarta votazione serve la maggioranza assoluta degli aventi diritto, che sono in tutto 1009. Tra i parlamentari la Lega conta 64 senatori e 133 deputati; Forza Italia, 50 senatori e 79 deputati (di cui uno, la presidente del Senato Casellati, per prassi non vota); Fratelli d’Italia, 21 senatori e 37 deputati. Totale delle tre forze di centrodestra 383. Che diventano 413 con i delegati delle regioni. Ad essi si dovrebbero aggiungere i 22 deputati e 9 senatori di Coraggio Italia, più il loro leader, Toti, delegato dalla regione di cui è presidente, la Liguria. Totale 445. Che diventano 450 con i 5 deputati di Noi con l’Italia di Maurizio Lupi. Manca ancora almeno una sessantina di voti (anche ammettendo che tutti quelli fin qui assommati votino disciplinatamente, il che pare molto difficile).

Pensiamo a una quarantina di franchi tiratori almeno, il 10% fisiologico di cui si parla in questi casi: si arriverebbe a cento voti da pescare fuori dello schieramento. Escludendo – salvo sorprese politiche clamorose – l’adesione dei 44 renziani, o di altri partiti organizzati, una parte dei voti mancanti potrebbe arrivare dal corpaccione del gruppo misto, oltre cento elettori, esclusi quelli già citati tra i ‘minori’ del centro destra. Almeno cinquanta di essi sarebbero ‘per storia’ disponibili, altri sembrano molto più difficili da conquistare. Certo, ove succedesse, negherebbero poi per tutta la vita di aver votato proprio lui: ma come insegna la triste storia dei 101 tuttora senza nome che tradirono Prodi nove anni fa, non c’è luogo al mondo dove i segreti vengano conservati meglio che nell’urna del voto per il Quirinale…

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