Prezzi, rigassificatori, price cap: 5 domande e risposte per capire la crisi energetica

Come è nata la crisi energetica? Perché il gas costa così tanto? A cosa serve un rigassificatore? Perché in Italia non si estrae gas? Come funziona il price cap? Leggi l’articolo per scoprirlo

Da mesi la crisi energetica e i temi economici e sociali a essa correlati sono al centro del dibattito politico e dei pensieri degli italiani. Il governo guidato da Mario Draghi ha da poco presentato un piano di risparmio energetico, la Germania ne ha già varato uno mentre Parigi e Berlino hanno stretto un accordo per scambiarsi gas ed elettricità. Il prezzo del gas è ai massimi storici e quasi ogni giorno le forniture di gas russo all’Europa entrano nelle dichiarazioni dei politici al di qua e al di là dei confini dell’Ue. La crisi energetica è stata esasperata dalla guerra in Ucraina, ma ha radici molto più profonde, oltre ad implicazioni talvolta inaspettate. In questo articolo Open cerca di rispondere a cinque domande.


Come e quando il prezzo del gas è aumentato così tanto? 

Tutto è iniziato quando le misure restrittive contro la diffusione del Covid-19 sono state allentate. Con la ripresa delle vita normale e il ritorno a pieno regime delle attività industriali, la domanda di energia – e quindi di idrocarburi – si è impennata. Durante la fase più acuta della pandemia, i Paesi produttori avevano rallentato le estrazioni, e nel 2021 si sono trovati a rincorrerle. Alla crescita della domanda non è corrisposta una crescita dell’offerta, e quindi i prezzi sono aumentati. A questa condizione iniziale se ne sono aggiunte altre. Una è rappresentata dalle anomalie climatiche. La siccità che ha colpito l’Europa nella seconda parte del 2021 e ancor di più nel corso del 2022 ha decimato la produzione di energia idroelettrica, mentre la bollente estate che si sta concludendo ha portato alle stelle l’uso dei condizionatori, e quindi la richiesta di elettricità. 


Il fattore che ha esasperato le già difficili condizioni del mercato dell’energia è però senza dubbio la guerra in Ucraina. Prima del conflitto, l’Ue importava dalla Russia il 38% del proprio fabbisogno di gas. Cifre simili hanno dato al Cremlino la possibilità di ricattare l’Unione, minacciando lo stop alle forniture. In cambio della regolarità del flusso di metano, Mosca chiede che l’Ue smetta di supportare l’Ucraina nel conflitto. Una richiesta che è giunta spesso è quella di sollevare le sanzioni imposte alla Federazione. La Russia ha man mano ridotto la portata del flusso di gas diretto in Europa, attribuendo la colpa a diversi problemi tecnici. I mercati hanno fiutato l’incertezza e, come accade in questi casi, i prezzi hanno iniziato a salire vertiginosamente, toccando il record storico di 340 euro al Megawattora il 26 agosto.

Nello specifico, la sede nella quale viene determinato il prezzo del gas è il mercato di Amsterdam, dove si decidono i prezzi del bene da inserire nei contratti a lungo termine a partire dall’indice del Ttf (Title Transfer Facility), ovvero il nome del mercato. Nel Ttf intervengono produttori, venditori e compratori. Questi ultimi possono scegliere di acquistare il gas per il consumo immediato, o tramite i cosiddetti futures, ovvero i contratti a lungo termine, le cui tariffe fluttuano assieme al mercato. Nelle scorse settimane è stato sollevato il sospetto che esistano delle speculazioni che avvengono nel Ttf. É stata anche avanzata l’ipotesi che alcuni degli operatori del mercato abbiano favorito il Cremlino.

Tutto ciò è avvenuto quasi in concomitanza con una decisione storica dell’Unione Europea, quella di includere il gas (assieme al nucleare) tra le fonti considerate “verdi” nel percorso da qui alla neutralità carbonica che dovrebbe essere raggiunta nel 2050. La decisione ha di fatto conferito al gas ancora più importanza nella tassonomia – la composizione del mix energetico – europea.

Cos’è e a cosa serve un rigassificatore? 

Per non dover sottostare ai ricatti di Mosca, i Paesi europei hanno compiuto enormi sforzi per diversificare le proprie fonti di approvvigionamento di gas. Attraverso l’Italia, molto arriverà dall’Azerbaijan e dalla Tunisia. Ma non tutti i Paesi fornitori possono inviare gas tramite i condotti come il Nord Stream. É il caso, ad esempio, degli Stati Uniti, che per poter mandare il gas oltreoceano devono necessariamente spedirlo via nave. Per essere trasportato, il gas deve subire un processo di liquefazione e pressurizzazione. Portando l’idrocarburo a 162 gradi sotto zero e aumentando la pressione dei serbatoi, il gas diventa e rimane liquido. Ciò consente di trasportarne grandi quantità. Per tornare allo stato gassoso, il GNL (acronimo di Gas Naturale Liquido) deve subir un processo chiamato rigassificazione che necessita di impianti specifici, i rigassificatori, appunto. In Italia gli impianti sono tre, uno a Livorno, uno vicino alla Spezia e uno non lontano da Rovigo. In questi giorni di campagna elettorale, è molto viva l’ipotesi di un rigassificatore galleggiante al largo di Piombino, in provincia di Livorno. Un altro potrebbe essere piazzato al largo di Ravenna.

Perché in Italia non si estrae gas?

Secondo stime, sotto la nostra penisola si troverebbero 350 miliardi di metri cubi di gas. Nel 2021 l’Italia ha consumato 76 miliardi di metri cubi di gas, ma di questi, solo poco più di 4 miliardi di metri cubi sono stati estratti. Nonostante il prezzo del gas così ottenuto fosse circa un decimo di quello acquistato nel corso dell’anno. La domanda quindi è perché in Italia si estrae così poco gas? La risposta riguarda di nuovo le fluttuazioni di prezzo. Per continuare le estrazioni – che nel 1992 toccavano i 30 miliardi di metri cubi all’anno – sarebbero stati necessari investimenti di rinnovamento e adeguamento degli impianti. Questi, quindi, vennero dimessi o depotenziati per non affrontare queste spese ingenti. Si preferì la via dell’importazione, all’epoca considerata più conveniente. Oggi la differenza di prezzo tra il gas autoprodotto e quello importato è molta. Ma iniziare delle nuove trivellazioni adesso richiederebbe grossi investimenti sia monetari, sia di tempo che al momento non c’è. Il Ministero della Transizione Ecologica ritiene comunque che con degli interventi mirati la produzione nazionale di gas potrebbe raddoppiare, e sfiorare i 10 miliardi di metri cubi all’anno.

A cementificare questa tendenza è arrivato il Pitesai, presentato nel dicembre del 2021 e approvato nel febbraio 2022. Si tratta del Piano per la Transizione Energetica sostenibile per le aree idonee, che era inizialmente previsto nel decreto semplificazioni varato nel 2019 dal Governo Conte I. Il piano ha ridotto le aree in cui è possibile trivellare il terreno, e ha imposto che l’unico combustibile estraibile con nuove trivellazioni sia il gas. La porzione di territorio dove è consentita l’estrazione si è ridotta del 50% a terra, e dell’89% in mare. Il piano, quindi, stabilisce dei criteri ambientali, sociali ed economici che devono essere rispettati per l’estrazione. In aggiunta a ciò, nei tre anni che si sono voluti a redigere e approvare il piano, tutte le attività di prospezione, esplorazione e ricerca di idrocarburi erano state sospese.

Come funziona il price cap?

Dopo settimane di pressioni da parte dell’Italia e una concessione fatta a Spagna e Portogallo, l’Unione Europea ha infine aperto concretamente alla possibilità di istituire un tetto al prezzo del gas per contenere i costi esorbitanti che famiglie e imprese si trovano ad affrontare in questo periodo. Ma come funzionerebbe il cosiddetto price cap? Il limite al prezzo si inserirebbe in «una riforma strutturale del mercato dell’energia», ha dichiarato la Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen in conferenza stampa da Bled, in Slovenia. Il progetto dell’esecutivo dell’Unione è quello di sganciare il prezzo del gas da quello dell’energia elettrica, un processo che in inglese viene definito decoupling. In questo modo, il cosiddetto “tetto” al prezzo dell’idrocarburo non interesserebbe il totale degli acquisti, ma solo la quantità da utilizzare per la produzione di energia elettrica. Il presupposto da cui parte l’idea è che l’attuale «prezzo di mercato non riflette domanda e offerta», ha dichiarato il premier ceco Pietr Fiala il 29 agosto scorso. 

Ma perché slegare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas potrebbe rivelarsi particolarmente conveniente? Come accennato prima, attualmente il prezzo dell’elettricità nell’Ue segue quello del gas. Una decisione che venne presa quando questo – al contrario del petrolio – era un combustibile economico. Negli ultimi mesi il prezzo del gas è schizzato alle stelle, trascinandosi dietro anche quello dell’elettricità. Tuttavia, l’elettricità non viene prodotta solo a partire dal gas, ma anche dal carbone, dall’idroelettrico, dal fotovoltaico, dall’eolico, dall’olio, dal petrolio. Tutte fonti più economiche del gas in questo momento storico. Ed è in base a questo principio che l’Ue può pensare di abbassare il costo dell’energia

Le ipotesi, il cui funzionamento preciso verrà illustrato nel giorno della loro presentazione, il 9 settembre sono le seguenti. La prima prevede di limitare il prezzo del gas che viene importato tramite il NordStream 1, mentre la seconda istituirebbe delle zone di prezzo per le varie regioni dei Paesi Europei, in base a quanto questi sono dipendenti dall’idrocarburo russo.  

Come possono i Paesi europei aiutarsi tra di loro?

Ogni Stato membro dell’Unione ha i propri punti di forza e di debolezza. Venirsi incontro, specialmente tra Paesi limitrofi può essere fondamentale per superare le difficoltà della crisi energetica. È questo il caso di Francia e Germania, che lunedì 5 settembre hanno chiuso un accordo che avvantaggia entrambi. Berlino, infatti, riceverà gas dalla Francia, mentre Parigi otterrà in cambio elettricità pronta da usare dalla Germania. L’affare è particolarmente vantaggioso per le due maggiori economie dell’Ue. Per la Francia, ottenere elettricità dalla Germania permette di fare fronte ai problemi delle proprie centrali nucleari. Un gran numero di queste, infatti, necessita di riparazioni che non possono essere effettuate se gli impianti procedono a pieno regime. Nel 2022, per la prima volta da quando vengono raccolti i dati, la Francia ha consumato più energia di quanta ne ha prodotta, vedendosi costretta ad importarne. 

D’altro canto, la Germania ha accantonato temporaneamente l’idea di dismettere le proprie centrali nucleari e ha ritardato lo spegnimento delle centrali a carbone. Tuttavia, il maggiore Stato Europeo è quello che più sta soffrendo a causa dei tagli alle forniture di gas da parte della Russia. È stato il presidente francese Emmanuel Macron a riassumere il senso dell’accordo nella conferenza stampa tenuta con il bundeskanzler Olaf Scholz: «Alla Germania serve il nostro gas e noi serve energia dal resto d’Europa, e tra tutti dalla Germania». 

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