La lezione di Liliana Segre, laureata honoris causa in filosofia: «Nel buio della Storia partigiani e internati militari trovarono la bussola»

Il titolo onorifico consegnato dall’Università di Bologna alla senatrice a vita. Presente anche la ministra Anna Maria Bernini

La senatrice a vita Liliana Segre ha ricevuto oggi la sua ottava laurea honoris causa. «Dedico questa laurea in Filosofia ad honorem dell’Università di Bologna alla memoria di mio marito, che fu uno dei 600mila internati militari italiani che venne deportato e scelse di rimanere prigioniero perché non aderì alla Repubblica sociale italiana». Così la senatrice a vita è intervenuta durante la cerimonia di conferimento che si è tenuta nella sua abitazione a Milano. «Loro e i partigiani anche se non avevano conosciuto che il fascismo – ha aggiunto – scelsero pericoli e privazioni. Nel momento della prova atroce qualcosa in sé li orientò, una bussola miracolosa, quello che Immanuel Kant chiamava la legge morale dentro di sé». Alla cerimonia era presente anche la ministra dell’Università Anna Maria Bernini.


«Nello studio ho trovato una ragione di vita»

La senatrice ha vita ha tenuto poi a ricordare che con questo titolo diventa ora la terza laureata a Bologna della sua famiglia: oltre al marito Alfredo Belli Paci, che si laureò lì in giurisprudenza dopo la guerra, anche il nonno seguì lo stesso percorso nel lontano 1900. «Quando tornai dalla prigionia i miei parenti dicevano che era troppo tardi per la scuola con gli anni che avevo perso», ha proseguito Segre. «Io invece non accettai e trovai nello studio una ragione di vita. Quando decisi di diventare testimone mi sforzai sempre di trasmettere ai ragazzi il senso della necessaria unità di memoria e realtà di storia e vita. Questo mi sembra qualcosa che abbia valore anche in termini di filosofia morale». Ed è anche quanto scritto nelle motivazioni della laurea: «Sempre la scienza e conoscenza vanno messe al servizio della vita concreta degli individui e della società». Infine, la senatrice a vita ha concluso citando un passaggio dell’appendice alla Critica della ragion pratica del filosofo tedesco Immanuel Kant. «Scrisse che due cose lo riempivano di ammirazione – ha spiegato – il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me. Immagino gli internati sotto i cieli stellati della Germania e della Polonia che anche io guardavo o ai partigiani e al cielo stellato sopra le montagne: giovani che si liberarono dell’indottrinamento fascista».


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