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«L’Ue deve riscrivere regole Green Deal e auto elettrica. Ci proviamo con Popolari e destre. Io mai alleata del Pse». Giorgia Meloni a Open: «Debito comune per la difesa europea»

06 Giugno 2024 - 11:45 Franco Bechis
Giorgia Meloni
Giorgia Meloni
Con Marine Le Pen c'è «stima reciproca e tante battaglie che ci uniscono», dice la premier che in questa intervista parla anche di questione energetica e dipendenza dalla Cina. Il voto europeo? «Un referendum su due modelli alternativi di Europa»

Fino ad oggi l’Europa ha pensato troppo in piccolo, cercando di imporre anche modelli ideologici ai suoi cittadini. Questo voto è fondamentale per costruire un nuovo modello di comunità europea, ed è una sorta di referendum fra l’antico e il futuro. Ne è convinta Giorgia Meloni, che vede fra i primi punti nella agenda del nuovo Parlamento europeo l’affermazione della indipendenza energetica del continente, riscrivendo le regole sul Green Deal e sull’auto elettrica per non dipendere totalmente dalla Cina. E affrontando l’emergenza demografica, altrimenti non vedremo proprio una “next generation” come ipotizzato dal Pnrr. In questa intervista ad Open il presidente del Consiglio italiano spiega che dal voto potrebbe nascere anche una nuova maggioranza, che comprenda popolari, Ecr e altre forze della destra europea. Come Marine Le Pen, con cui la Meloni vede tanti punti in comune.

Presidente, lei come gran parte dei leader politici nazionali si è candidata alle europee. E anche in seguito a questo la campagna elettorale sembra viaggiare prevalentemente su temi di politica interna. Pensa che questo aspetto porterà più cittadini a votare, rispetto alla tendenza calante di questi anni?

Io credo che per portare più italiani a votare sia corretto spiegare loro quanto l’Europa incida sulla loro vita, e nelle politiche che ogni Nazione europea può o non può fare a livello nazionale. Perché l’Europa decide del nostro quotidiano, delle nostre auto e delle nostre case, delle nostre imprese e dei nostri prodotti, dei nostri confini e dei nostri bilanci, e una parte significativa di quello che i governi nazionali possono fare, e a cascata di quello che possono fare i governi regionali e locali, passa dalle norme che vengono decise a Bruxelles. Tu puoi non interessarti dell’Europa, ma è certo lei si interesserà di te. Il punto è come lo farà. E questo dipende dal voto che gli italiani esprimeranno l’8 e il 9 giugno. Io l’ho definito un referendum su due modelli di Europa, perché abbiamo l’occasione storica di voltare definitivamente pagina rispetto alle scelte sbagliate che abbiamo visto in questi anni.

Sono stati cinque anni che sembrano avere cambiato il mondo e non solo l’Europa. La pandemia, la prima guerra nel vecchio continente dopo decenni di pace. Secondo lei il prossimo parlamento europeo e la prossima commissione europea daranno il segno di questo mutamento di epoca o si continuerà nel solco di sempre? 

Siamo alla vigilia di un voto decisivo, nel quale i cittadini italiani ed europei saranno chiamati a scegliere tra due modelli d’Europa. Da una parte, un Super-stato burocratico che pretende di regolamentare ogni aspetto della nostra vita e che è nemico delle specificità nazionali; dall’altra, un’Europa consapevole di sé stessa e della sua proiezione geopolitica, che concentra le sue risorse sulle materie nelle quali può dare un valore aggiunto, a partire dalla politica estera e di sicurezza comune, e lascia tutto il resto alla sovranità delle Nazioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà sancito dai trattati. Noi crediamo in questo secondo modello, e siamo convinti che sia il modello che meglio può rispondere a quel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Non serve a nulla un’Europa che ci dice che macchina possiamo comprare, che casa avere o addirittura cosa pensare. Serve un’Europa in grado di affrontare le grandi sfide globali, che sia un gigante politico, rispettato e ascoltato nel mondo.  

Da lustri in Europa è accaduto quello che spesso in questi anni è avvenuto anche in Italia: non ci sono maggioranze politiche possibili, e per questo si formano governissimi che hanno al centro partito popolare e partito socialista, che sulla carta sarebbero alternativi in quasi tutto. Secondo i sondaggi della vigilia potrebbero vedere erodere qualche consenso, ma se non si metteranno insieme quei due schieramenti sembra impossibile avere una maggioranza. Crede o si augura invece possa accadere qualcosa di diverso?

I dati oggettivi ci dicono che l’Europa ha deluso molto i cittadini europei. Attualmente, la percentuale di europei che esprimono gradimento per l’Unione Europea è attorno al 45%, in Italia è del 43%, qualche decennio fa queste percentuali erano sensibilmente più elevate. Qualcosa non ha funzionato e, a mio avviso, la responsabilità di questo deriva dalle alleanze innaturali da cui discendono sempre compromessi al ribasso. 
Come leader di Fratelli d’Italia e dei Conservatori europei, il mio obiettivo è molto semplice: dare all’Unione Europea una diversa impostazione e creare in Europa una maggioranza alternativa a quella attuale, mandando finalmente le sinistre di ogni colore all’opposizione. Vogliamo fare, cioè, esattamente quello che abbiamo fatto in Italia un anno e mezzo fa, ed esportare questo modello per la guida della futura Europa. Se questo scenario sia possibile o no, spetta solo ai cittadini determinarlo, perché il boccino è nelle loro mani. A noi spetta il compito di crearne le condizioni, e sono convinta che si possa su questo trovare una sintesi virtuosa tra conservatori, popolari e altre forze politiche europee che si riconoscono nel centrodestra. 

Vede anche Marine Le Pen come possibile alleata nella nuova Europa? E c’è qualcuna delle forze politiche di qualsiasi schieramento in Europa con cui non si alleerebbe mai?

Con Marine Le Pen c’è sempre stata stima, e rispetto reciproco. Su temi come il contrasto all’immigrazione irregolare, la difesa della nostra identità culturale, un’idea pragmatica e non ideologica della transizione ecologica, ci sono naturali punti in comune tra noi come tra molte altre forze della destra e del centrodestra europeo. Sintonie su cui dobbiamo lavorare per creare una reale alternativa alla sinistra. Per il resto, come ovvio fin dalla nascita di FdI, non mi alleerei mai con la sinistra. 

Lei è alla guida del Governo italiano ed ha la responsabilità del rapporto di quel governo con gli altri governi europei. Ma è anche una leader politica, che in Italia guida Fratelli di Italia e in Europa guida Ecr. Pensa che Ecr nel prossimo parlamento- non ci fossero numeri per il centrodestra- potrà entrare in un governissimo europeo? Ritiene possibile farlo con Fratelli d’Italia anche se gli altri partiti di Ecr saranno contrari?

Le dinamiche europee sono più complesse di quelle italiane, ma io credo che faremmo un buon servizio all’Europa e agli europei se anche nel contesto continentale tornassimo ad una chiara alternanza tra le forze che si riconoscono nell’area socialista e socialdemocratica e le forze che si riconoscono nell’area conservatrice e di centrodestra. “Mai con la sinistra” è un principio che, per me, vale sia a Roma che a Bruxelles. Spostare l’asse delle scelte europee a destra, infatti, non soltanto servirà a riavvicinare l’Europa ai suoi popoli, ma permetterà anche al nostro Governo di trovare a Bruxelles interlocutori che parlano la nostra stessa lingua politica e hanno a cuore le nostre stesse priorità. Permetterà, in buona sostanza, di far pesare di più l’Italia e rendere più forte l’Italia. 

Quali sono, secondo lei, le tre prime urgenze che dovrebbe avere in agenda il prossimo governo dell’Europa?

Dire basta alle eco-follie che hanno imperversato in questi anni e che rischiano di trasformare l’Europa in un deserto produttivo e occupazionale. Un deserto green si intende, ma pur sempre un deserto. L’Europa deve poi aumentare la propria autonomia strategica, il che vuol dire costruire catene di approvvigionamento sicure e affidabili. È poi fondamentale porsi la sfida da cui dipendono tutte le altre, che è la sfida demografica. Perché garantire l’equilibrio di un esercizio o di un settennato di bilancio servirà a poco se nel medio-lungo periodo sarà l’intero sistema a diventare insostenibile, e non ci sarà più quella “next generation” alla quale abbiamo intitolato i piani di ripresa post-pandemia ma che rischia semplicemente di non esistere. Senza figli non c’è futuro, in Italia e in Europa. 

Gli Usa hanno accentuato la linea protezionistica nei confronti della Cina, che è detentrice quasi monopolistica di materie prime e tecnologie per la transizione energetica. Crede che questa sia la strada che anche l’Europa dovrebbe imboccare?

Io credo che un’Europa protagonista nel mondo debba porsi con forza e con urgenza la questione di aumentare la propria autonomia strategica. Cioè, la propria capacità di poter costruire catene di approvvigionamento europee, o almeno sicure e affidabili, per diminuire le proprie dipendenze strategiche. Con lo scoppio della pandemia prima e con l’invasione russa in Ucraina poi, ci siamo risvegliati da un sonno che durava da troppo tempo. E abbiamo capito quanto fosse sbagliata l’idea di un’Europa che giocasse il ruolo di grande piattaforma commerciale destinata ad arricchirsi, intermediando tra l’America e i giganti asiatici e rifornendosi di ciò che serviva alle nostre società al minor costo possibile. La pandemia e la guerra in Ucraina ci hanno mostrato che, quando le catene del valore diventano troppo lunghe e poi si interrompono per qualche shock esterno, la scelta di essersi legati mani e piedi ad altri attori internazionali la si paga a caro prezzo. Lo abbiamo visto con l’energia, quando la Russia ha chiuso i rubinetti del gas e ci siamo ritrovati con il costo delle bollette alle stelle. Il nostro Governo è subito intervenuto a livello interno per mettere il massimo delle risorse che avevamo a disposizione per aiutare chi non riusciva a pagarle quelle bollette e, a livello internazionale, per diversificare rapidamente i fornitori di gas. Un impegno solenne che ci eravamo assunti in campagna elettorale, e che abbiamo rispettato. Ma la questione energetica è cruciale anche per dare una direzione più giusta e più equa alla transizione ecologica, che per noi deve camminare di pari passo con la sostenibilità sociale e con la sostenibilità economica delle nostre imprese. Non ha alcun senso legarsi mani e piedi al solo elettrico senza essersi prima assicurati adeguato accesso alle terre rare e alle materie prime critiche che sono parte fondamentale della componentistica necessaria alla nostra transizione elettrica. Oggi l’Ue sembra essersene resa conto, almeno a parole. Il problema è che, ora che stiamo provando a chiudere la stalla, i buoi probabilmente sono già scappati da tempo.

Lei pensa che sia realistico il passaggio definitivo all’auto elettrica per tutti entro il 2035 o quell’aspetto del green deal andrà riscritto dalla nuova commissione?

Una delle priorità dell’Europa di domani sarà riportare razionalità e pragmatismo nella transizione ecologica ed energetica, rimettendo mano alle norme più ideologiche del “Green Deal”, assicurando la neutralità tecnologica e diminuendo le dipendenze strategiche. Vede, noi siamo conservatori, e i conservatori sono i primi difensori della natura. Ma i conservatori difendono la natura con l’uomo dentro, e non considerano l’uomo un nemico da combattere. Invece, in questi anni, si è fatto l’esatto contrario. L’uomo è stato considerato un nemico e la prospettiva green è stata perseguitata anche a costo di sacrificare intere filiere produttive e industriali, come quella dell’automotive. Nessuno nega che l’elettrico possa essere una parte alla soluzione per la decarbonizzazione, ma non ha avuto alcun senso auto-imporci il divieto di produrre auto e diesel e benzina a partire dal 2035. È stata una follia ideologica, che va assolutamente corretta. 

Crede che sia possibile una nuova emissione di debito comune europeo per finanziare altre parti della transizione energetica (come quella che riguarda l’adeguamento delle abitazioni) visto che le famiglie in Italia come in altri paesi difficilmente avranno quelle risorse da spendere?

Sicuramente dovremo porci presto il tema di come finanziare tutte le nuove priorità che l’Ue si è data, penso ad esempio alla difesa comune. Molto dipenderà dal successo del Pnrr italiano, motivo per il quale c’è molta positiva attenzione sull’azione che stiamo svolgendo di riprogrammazione e messa a terra di quelle risorse. Quanto alla transizione green, non è un mistero che noi ci siamo battuti con forza affinché il nuovo patto di stabilità tenesse maggiormente in conto le spese per investimento legate alla doppia transizione green e digitale. C’è stato soltanto un timido passo avanti in questa direzione, mi auguro che in futuro ci possa essere più coraggio. Sulle case green ci siamo battuti per eliminare l’obbligo di passaggio di classe energetica in capo ai proprietari e ora ogni governo avrà due anni di tempo per varare un piano di riduzione delle emissioni relativo al patrimonio immobiliare. Gli obiettivi della direttiva rimangono troppo ravvicinati e troppo onerosi, anche perché non ci sono incentivi europei; lo sono tanto più per noi che siamo reduci dalla follia del superbonus 110%. Cercheremo di rimettere mano a questa normativa.

Pensa che il risultato del voto europeo possa creare problemi agli equilibri della sua maggioranza politica in Italia?

Credo che sia fisiologico che in una campagna elettorale di stampo proporzionale, com’è quella per le elezioni europee, ogni forza politica sottolinei la sua identità e le sue posizioni. È naturale che sia così. Questo, però, non pregiudica in alcun modo la compattezza e la solidità di questo Governo, che continua a lavorare velocemente e con grande concretezza. Ad un anno e mezzo dalla nascita del governo, tutti i partiti di centrodestra sono in salute e io mi auguro che le elezioni europee possano confermare questo quadro. E, se i cittadini lo decideranno, migliorarlo.

Finisco con una domanda italiana, visto che ancora non ne ho capito i motivi. Per tutta la sua vita politica lei e da quando è nata Fratelli di Italia ha fatto campagne e raccolto firme per eleggere direttamente il Presidente della Repubblica. Il presidenzialismo era contenuto nel programma elettorale di FdI nel 2022 e in quello della coalizione di centrodestra nella stessa occasione. I moduli di raccolta firme per eleggere direttamente il Presidente della Repubblica erano presenti sul sito di FdI fino a dicembre 2023. Perché ha abbandonato questa battaglia che era davvero sua optando per l’elezione diretta del premier, definita addirittura “la madre di tutte le riforme”?

Non ho abbandonato nessuna battaglia. Anzi. Noi ci siamo presentati alle elezioni dicendo chiaramente che avremmo presentato una riforma costituzionale che garantisse l’elezione diretta del vertice del potere esecutivo, e abbiamo rispettato quell’impegno. Noi partivamo da alcune idee, in particolare il semipresidenzialismo alla francese, ma abbiamo consultato le varie forze politiche, abbiamo testato la sensibilità diffusa e ciò che è emerso da questa consultazione sono tre elementi: la necessità di una riforma per rendere il sistema più efficiente e garantire che il governo possa lavorare con un orizzonte di legislatura; mantenere la centralità del Parlamento; conservare la figura di garanzia del Presidente della Repubblica. Su questi tre elementi abbiamo costruito la proposta di riforma che abbiamo presentato in Parlamento. È una riforma che lascia immutata l’ossatura del nostro sistema istituzionale, che mantiene la figura di garanzia del Presidente della Repubblica e che con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio garantisce stabilità al governo.

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