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“Il Venezuela ha bisogno del sostegno internazionale”. L’intervista di Open a Rossana Miranda

24 Gennaio 2019 - 13:37 Giada Ferraglioni
La giornalista venezuelana ha spiegato a Open quali sono i retroscena dell'autoproclamazione di Guaidó e quali saranno i possibili scenari internazionali

Nel corso della giornata del 23 gennaio, uno degli uomini chiave dell’opposizione venezuelana, il Presidente dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidó, ha invitato i cittadini a protestare pacificamente contro Maduro, l’attuale Presidente del Paese. Poco dopo, Guaidó si è autoproclamato Presidente del Venezuela, venendo riconosciuto immediatamente da stati esteri quali gli Stati Uniti, il Canada e gran parte dell’America Latina. Rossana Miranda, giornalista di formiche.net e scrittrice venezuelana, ha spiegato a Open quello che sta succedendo, cercando di mettere a fuoco i punti fondamentali di una questione molto delicata.

Qual è il problema con Maduro?

«Maduro è il Presidente venezuelano, ex delfino di Chavez, insediatosi il 10 gennaio 2018 dopo aver vinto per la seconda volta le elezioni. Come riconosciuto da gran parte della comunità internazionale – sia Stati Uniti che Unione Europea – le elezioni non sono state trasparenti. Smartmatic, la compagnia che ha gestito le votazioni, affermò all’epoca che i risultati erano stati inquinati. Per questo motivo, secondo l’Assemblea Nazionale (cioè il Parlamento venezuelano) l’insediamento di Maduro è illegale, e le elezioni dovrebbero essere ripetute. L’Assemblea Nazionale è al momento gestita dall’opposizione: nelle precedenti elezioni del 2015. l’opposizione ha guadagnato la maggioranza dei voti. Vista la trasparenza dei risultati, che è stata riconosciuta anche dal governo, al momento è l’unico organo riconosciuto dai cittadini come “eletto dal popolo”».

Che differenza c’è tra Assemblea Nazionale e Assemblea Costituente?

«Per non rischiare di perdere il controllo al Parlamento, la Corte Suprema ha delegittimato il ruolo dell’Assemblea, istituendo un organo alternativo, l’Assemblea Costituente, volto a riscrivere la Costituzione. Ma per la creazione dell’Assemblea Costituente c’è bisogno di tutta una procedura specifica, che Maduro ha aggirato grazie a una legge scritta e firmata da lui»

Cosa rappresenta la figura di Guaidó? La sua presa di posizione è costituzionale?

«Guaidó è il presidente dell’Assemblea Nazionale e si è insediato ieri come presidente ad interim. Rispetto alla Costituzione venezuelana, approvata nel 1999 dallo stesso Chavez e dalla costituente da lui stesso fondata, l’auto-proclamazione è possibile: la costituzione dice che quando c’è un’usurpazione del potere della presidenza della repubblica, è il presidente dell’Assemblea Nazionale a prendere l’incarico ad interim. (ndr: a decidere se un processo è costituzionale è la Corte Suprema, lo stesso organo che in Venezuela ha delegittimato il Parlamento)».

Perché l’ha fatto proprio ieri?

«L’insediamento è stato fatto ieri perché il 23 gennaio è una data storica per il Venezuela: nello stesso giorno, nel 1958, è caduto il regime militare di Marcos Pérez Jiménez. Quello che l’opposizione in Venezuela ha iniziato a fare è un processo di transizione pacifica, che prescinda da un colpo di stato armato. Molti credono che il Venezuela potrà uscire dalla crisi solo grazie a un intervento militare da parte degli USA, ma ora si sta cercando un’altra via politica e diplomatica».

Perché Trump ha riconosciuto immediatamente Guaidó?

«In questa fase è fondamentale il ruolo della comunità internazionale: la strategia che c’è, e che Guaidó non vuole svelare del tutto, è che degli accordi internazionali sono già stati presi. Infatti, gran parte dell’America Latina, il Canada e gli USA hanno riconosciuto immediatamente Guaidó come presidente legittimo. Il governo americano, anche durante la campagna elettorale in Florida, si era schierato apertamente a favore dell’opposizione venezuelana, per far uscire Maduro e ripristinare la democrazia. La sua mossa è una conseguenza di tutta la linea che ha sostenuto fino ad ora».

Qual è il margine di intervento estero per supportare l’azione di Guaidó?

«Non penso che a Trump convenga l’intervento militare, sicuro non conviene a Guaidó: si darebbe ragione a Maduro e alla loro idea che gli USA volessero replicare il modello dell’Afganistan in Venezuela».

C’è un reale ritorno per gli USA?

«Gli USA da sempre hanno avuto degli interessi petroliferi nel paese, ma negli ultimi anni il governo ha ridotto tantissimo la produzione. Il sistema di produzione petrolifera è al collasso, totalmente senza manutenzione: il governo non ha saputo gestire nulla nel settore, tanto che la Pdvsa, la compagnia petrolifera statale, adesso è alle prese con innumerevoli casi di corruzione. Le piattaforme fisiche stanno letteralmente esplodendo: da 4 milioni al giorno, ora la produzione non arriverà a un milione».

Quante oil company americane sono presenti in Venezuela al momento?

«Le imprese americane sono andate via quasi tutte. Maduro si sta giocando la carta dell’America che vuole sfruttare le risorse del territorio e che vuole togliere ai venezuelani quello che gli spetta. Ma da sempre, anche con Chavez, era stato creato il modello dell’impresa mista, per cui anche le imprese americane, francesi, tedesche o italiane, si prendevano una parte della produzione, lasciando il resto al Paese. Non è colpa del socialismo in sé se le cose stanno cambiando, ma della cattiva gestione della produzione e dei siti di prelievo da parte del governo di Maduro».

Quanto è centrale il petrolio per l’economia venezuelana?

«La situazione del settore petrolifero fa parte di tutto un sistema economico del paese. Penso che con un cambiamento di governo ci sarà una nuova gestione e che poi, anche se non immediatamente, si potrà risollevare il sistema produttivo del Paese. Non solo del petrolio: in Venezuela la gente muore di fame, non trova medicine, l’inflazione è alle stelle (più di un milione per cento secondo il Fmi). Sono vent’anni che il chavismo è al potere e la situazione è solo peggiorata. È vero che il prezzo del petrolio è cambiato e questo influisce, ma di fatto la struttura produttiva del paese negli ultimi anni è sparita».

Quali sono le proposte dell’opposizione di Guaidó da questo punto di vista?;

«L’opposizione in Venezuela fin ora è stata molto divisa. Ora stanno cercando di mettersi insieme e il loro progetto è quello di uno Stato meno assistenzialista volto a incentivare di più la produzione. Vorrebbero tornare a un’economia liberale pre-chavez, cercando di aprirsi di più al privato. Questo non vuol dire che la popolazione è in rivolta contro politiche di welfare, ma che si mobilita proprio perché non ci sono. Più di 4 milioni di venezuelani sono andati via negli ultimi tre anni, un esodo più grande di quello della Siria. Il Venezuela è un paese dove in teoria la guerra non c’è, ma la condizione della popolazione è agli stessi livelli di povertà».

Qual è il possibile scenario che si aprirà in Venezuela?

«Se la situazione degenera, il governo inizierà a incarcerare i leader politici, cosa che ha già fatto in passato. Ma è tutto così incerto che può accadere di tutto. Gli USA hanno detto che ogni ipotesi è sul tavolo. Ora serve una strategia politica e diplomatica, ma bisognerà vedere gli altri paesi come agiscono. Sicuramente si è rotto il silenzio: ci sono manifestazioni anche nei Paesi finora silenti, come ad esempio in Spagna. A Madrid, ci sono tutta una serie di proteste per chiedere che il governo si schieri con chiarezza nei confronti di Guaidó».

Quale può essere il ruolo dell’Italia?

«L’appoggio dell’Italia a Guaidó sarebbe fondamentale perché più Stati lo riconoscono e meglio è. IL M5S fin ora è stato molto vicino a Maduro. Nel 2016 Mario di Stefano e Ornella Bertorotta sono andati a Caracas per commemorare la morte di Chavez. Recentemente non hanno più parlato, ma hanno sempre indicato il modello venezuelano come un punto di riferimento, riguardo alle politiche di nazionalizzazione e dei sussidi. Questo silenzio fa pensare che potrebbero ancora essere a favore di Maduro, ma ora la situazione è degenerata e qualcuno dovrà esporsi. Tra l’altro, c’è una grande comunità italiana in Venezuela che è disperata perché non ci sono risorse. L’unico a muoversi in aperta solidarietà con i deputatati di opposizione è stato Casini, nel 2016».

Quali sono le reali differenze tra Chavez e Maduro?

«Maduro afferma di essere stato incaricato di seguire le orme del suo predecessore. Nella pratica, però, le cose sono diverse. Chavez aveva il petrolio a 120 dollari al barile oltra a una produzione molto alta, mentre Maduro ha una produzione molto bassa e i prezzi che hanno toccato i 35 dollari al barile. Ma soprattutto siamo di fronte a una capacità politica diversa: Chavez era un politico, aveva carisma e riusciva a gestire anche l’opposizione in maniera diversa. Ha portato avanti delle missioni sociali, come la distribuzione di medicinali e di sussidi per chi voleva iniziare a studiare, che lo hanno reso popolare anche all’estero. Gli stessi quartieri popolari, che erano stati esclusi dalla politica venezuelana, hanno trovato nelle politiche di Chavez la possibilità di crescere».