Il primo voto non si scorda mai: così Tangentopoli ha condizionato un’intera generazione di elettori

Secondo uno studio della Bocconi le esperienze politiche fatte in gioventù hanno effetti determinanti a lungo-termine. Così lo scandalo degli anni Novanta potrebbe aver traumatizzato migliaia di persone che si trovavano a esprimersi alle urne per la prima volta 

«La prima volta non si dimentica mai». È questo il titolo efficace, ma non certo originalissimo, di un nuovo studio (in inglese, ma di un gruppo di ricercatori dell’università Bocconi di Milano) sugli effetti a lungo termine di uno degli eventi simbolo nella storia della Repubblica italiana: Tangentopoli. Secondo gli studiosi, la generazione che nel 1994 si preparava a votare per la prima volta sarebbe rimasta traumatizzata dallo scandalo che coinvolse circa un quarto della classe politica italiana, e due terzi dei partiti di Governo, la democrazia cristiana e i socialisti di Bettino Craxi, portando alla fuga e alla latitanza dello stesso Craxi. Un trauma che avrebbe condizionato in modo determinante l’atteggiamento politico di un’intera generazione, piantando i semi per il famigerato «populismo» di oggi.


Sui circa 1.500 casi presi in esame nel sondaggio, la maggior parte, ha spiegato che l’ingloriosa fine della Prima Repubblica li ha portati a nutrire un senso di sfiducia nella classe politica, considerata irrimediabilmente corrotta e inevitabilmente propensa a esserlo. Una generazione segnata non tanto dall’eredità del movimentismo degli anni ’60 e ’70, dalla cosiddetta fine dell’ideologia dopo il crollo del muro di Berlino, dagli Anni di Piombo o del liberismo degli anni ’80 e neppure dalla crisi economica del 2008, ma dal tradimento venuto a galla nel 1992. Una disillusione che dura fino ai nostri giorni e che li avrebbe indirizzati nella loro scelta di partiti che professano di essere anti-élite e che fanno dell’onestà e dell’anti-corruzione un cavallo di battaglia. Ma anche dell’opposizione all’immigrazione.


Alla domanda del se è utile o meno chiamarli «populisti» anziché partiti di destra, uno dei ricercatori, Gianmarco Daniele, raggiunto da Open al telefono, tira dritto: «Non tutti i partiti di destra sono populisti e non tutti i partiti populisti sono di destra. Il nostro campione riguarda individui che hanno votato sia Lega e Movimento 5 Stelle, con una chiara divisione tra Nord e Sud». Non è un identikit dell’elettorato giallo-verde degli ultimi anni quindi, ma di uno spezzone di esso. Persone accomunate da un forte risentimento nei confronti della «casta», nata con Tangentopoli, che varia a seconda della propria posizione economica. Un risentimento che spesso è più forte tra i meno istruiti e tra coloro che dispongono di un reddito più basso, oltre che tra quelli che si trovavano in aree del territorio con il più alto numero di indagati.

Ma come si crea e si alimenta a distanza di anni un senso di generale insoddisfazione? Fondamentale il ruolo giocato dai media. «La cosa che ci ha sorpreso è che in Italia non si parlava di corruzione prima degli anni ’90. Raccogliendo i dati sulle news su tutti programmi televisivi della Rai prima dell’1992, la parola chiave non appariva praticamente mai». Un effetto che potrebbe aver contagiato anche le generazioni successive anche se non hanno vissuto in persona la stagione di Tangentopoli e non ne conservano un ricordo preciso. «I nostri dati non ci permettono di testare questa ipotesi. Ci sono però studi molto interessanti che mostrano che quando una generazione riceve uno choc cambia il set di valori. Un cambiamento che poi viene trasmesso anche alla generazione successiva. Quello che noi osserviamo è che l’effetto declina nelle generazioni successive, ma non scompare immediatamente».

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