Biraghi è fascista? Forse non possiamo dirlo guardando solo i suoi parastinchi


Vae Victis, in latino «Guai ai vinti». Due parole, sotto un tricolore con un elmo circondato da una greca. È bastato questo per accusare Cristiano Biraghi, terzino dell’Inter, di aver esibito simboli fascisti durante una partita di Champions League.
I fotogrammi che hanno inziato a invadere i social arrivano infatti da Inter-Barcellona, l’incontro giocato a San Siro la sera del 10 dicembre.
Durante la partita Biraghi si è sistemato i parastinchi e così il pubblico ha potuto vedere i disegni con cui erano decorati. Da Twitter hanno iniziato ad arrivare le prime accuse: «#Biraghi e i suoi parastinchi del fascio», «Quando si dice, 100% #fascio, dalla testa ai parastinchi…» o ancora «O bella ciao, bella ciao … fasciodimmerda».
Si può davvero parlare di fascismo?
No. O meglio. Il problema di fondo è che l’immaginario a cui si riferiscono i simboli disegnati sui parastinchi è quello dei legionari romani. Il motto Vea Victis compare nell’opera dello storico Livio Ab Urbe condita libri. È attribuita Brienno, capo dei Galli Senoni che nel IV secolo a.C. hanno conquistato Roma.
In sé il significato di questa frase è qualcosa simile a «Non c’è nessun onore per i vinti». Questa formula ha avuto un discreto successo, tanto da essere ripresa anche in Legacy of Kain, videogioco basato sulla storia di due vampiri.
Biraghi ha dimostrato di essere legato a questa frase, tanto da farsela tatuare sul petto e da usarla come hashtag in diversi post, precedenti alla partita contro il Barcellona. Sempre guardando i tatuaggi di Biraghi si può notare come il calciatore sia affascinato dall’estetica che richiama l’antica Roma.
Nell’agosto del 2018 aveva pubblicato su Instagram la foto di altri due parastinchi, sempre con motti latini. Il cortocircuito sta proprio qui. Il fascismo si richiama spesso nel suo immaginario all’estetica del legionario romano. Basta ricordare due dei simboli più importanti del ventennio: il saluto romano e l’aquila imperiale.
Questa associazione, così, è sembrata sufficiente per dare del fascista a Biraghi. Tuttavia né nei suoi tatuaggi e nemmeno nei suoi parastinchi è possibile trovare una correlazione diretta con il regime totalitario che ha portato l’Italia in guerra insieme al Terzo Reich.
L’amico di Biraghi: «Una gogna mediatica vergognosa»
In una foto pubblicata sul suo profilo Instagram, Biraghi è ritratto con Marco Contini, uno degli amici che in questi giorni lo hanno difeso sui social. Anche lui, sul suo profilo Instagram utilizzat il motto Vae Victis. Lo abbiamo contatto e gli abbiamo chiesto da dove nasce questa frase.
Cosa vuol dire per voi Vae Victis?
«Vuol dire “guai ai vinti”, ed è un termine esclamato dai galli. Quando conquistarano Roma furono loro a dettare le condizioni di resa. Non ho mai letto da nessuna parte qualcosa che riconducesse questa frase al fascismo!»
Perchè tu e Biraghi usate questa frase sui social, o sui parastinchi?
«È un segno di incitamento, a non mollare mai, nelle situazioni lavorative, nella vita in generale, di lottare ogni giorno per qualcosa, per chi dal basso vuole arrivare in alto!
Tutto quello che abbiamo oggi sia io e che lui ce lo siamo costruiti da soli, con il sudore,nessuno ci ha regalato nulla, e da qui la scelta di questa frase».
Perchè Biraghi è stato accusato di fascismo?
«Perché su uno dei due parastinchi neri (ma sono neri perché il materiale con il quale sono fatti è di quel colore, appunto il carbonio) ha un elmo spartano con la bandiera italiana attorno. Nessun riferimento al fascismo, è legato al film 300 che lui ama molto, sempre per il motivo della battaglia e del suo spirito guerriero.
È vergognoso che la gente con questa superficialità metta alla gogna una persona senza sapere veramente cosa c’è dietro il pensiero di un ragazzo».
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