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Il calciatore Pietro Santapaola: «Mi hanno cacciato dal Cosenza per il mio cognome. La mafia fa schifo» – L’intervista

17 Marzo 2021 - 18:31 Fabio Giuffrida
Il giovane ha denunciato la squadra di serie B che lo avrebbe cacciato per i legami familiari. Suo padre è stato condannato in primo grado per associazione mafiosa mentre suo prozio è Nitto Santapaola, uno dei più sanguinari boss di Cosa Nostra

«Mi sono sentito uno straccio quando mi hanno detto che avrei dovuto lasciare il Cosenza Calcio (serie B), dove giocavo da gennaio. Ho avuto una crisi, ho pianto perché ho pensato che il mio sogno, quello di diventare un calciatore, non avrei più potuto realizzarlo. Ma quello che mi fa rabbia è il motivo. Perchè porto un cognome ingombrante, perché sono un Santapaola, peccato che io non abbia precedenti. Non ho mai avuto rapporti con la criminalità organizzata».

A parlare a Open è Pietro Junior Santapaola, 17 anni, calciatore professionista che raggiungiamo al telefono, insieme al suo legale Salvatore Silvestro. I due, insieme alla madre del giovane, hanno presentato una denuncia ai carabinieri. La questione è semplice: il giovane sarebbe stato cacciato dalla squadra in cui giocava da gennaio, dopo che il presidente avrebbe scoperto che Pietro Junior Santapaola ha un padre condannato in primo grado al 416 bis (associazione di tipo mafioso) e perché suo prozio è il boss Nitto Santapaola, 82 anni, uno dei più sanguinari capi di Cosa nostra, condannato all’ergastolo per l’omicidio del giornalista Pippo Fava.

«Pensano che io faccia rapine o accoltelli i miei compagni di squadra»

Insomma il rischio è che, in questo caso, le colpe dei padri ricadano sui figli. «A me la mafia fa schifo. La cosa che mi ha fatto male è stato quando il direttore del club, riferendomi le parole del presidente, mi ha descritto come un criminale. Perché mai? Io non farei del male nemmeno a una mosca». Santapaola, che prima giocava nel Licata calcio, è arrivato al Cosenza a gennaio (città in cui, peraltro, si era trasferito per gli allenamenti e le competizioni). Poi, all’improvviso, il 3 marzo è stato chiamato in disparte dal direttore del club Sergio Mezzina che gli avrebbe riferito quanto comunicato dal presidente Eugenio Guarascio.

«Mi hanno detto che devo sospenderti perché pensano che tu sia un mafioso, un ragazzo pericoloso che potrebbe fare rapine o accoltellare gli altri compagni”, queste le parole del direttore. Al mister, poi, hanno detto che avevano “acquistato un mafioso” e che non avrei più potuto giocare». Nemmeno la partita del 7 marzo. Quattro giorni dopo dalla comunicazione.

I precedenti del papà di Pietro Junior Santapaola

Tutto perché il padre di Pietro Junior è coinvolto nel processo Beta, a Messina, nel corso del quale è stato condannato a 12 anni in primo grado con l’accusa di associazione mafiosa, sulla scorta – secondo il legale Silvestro – delle «dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e, dunque, in relazione a fatti che risalgono a molti anni fa, quando Pietro Junior non era nemmeno nato». Come scrive la stampa locale, a Messina sarebbe stata creata «una cellula di Cosa nostra di Catania che ha condizionato la vita pubblica della Città dello Stretto». Accuse gravissime che, però, nulla hanno a che vedere col giovane calciatore.

Il giovane calciatore «affetto dal virus della mafiosità»

Pietro Junior, tra l’altro, da anni« vive nei vari convitti nelle squadre in cui ha militato», «di fatto è stato poco a Messina coi suoi genitori». Una brutta fine per una promessa del calcio che, subito dopo il colloquio con il direttore del club, ha atteso una settimana prima di chiudere definitivamente questa (brutta) esperienza: «Mi hanno lasciato qualche giorno ad aspettare la risposta definitiva. Poi ho avuto una crisi e mi sono fatto venire a prendere. Da Cosenza a Messina. È finito così il sogno di giocare a calcio. Ora non mi resta che allenarmi, da solo, a casa».

Intanto – ci spiega il suo avvocato – il contratto di Santapaola non sarebbe stato rescisso: «Non l’hanno svincolato, e così sarà probabilmente fino a giugno. Insomma Pietro Junior non solo non può giocare al Cosenza Calcio ma non può neanche accettare proposte da altri club. Questa è violenza privata». «Qui c’è la mia vita in ballo», conclude il giovane «affetto dal virus della mafiosità», come si legge sulla denuncia che Open ha potuto visionare e che è stata inoltrata anche alla Figc, alla Procura federale e alla Lega di Serie B.

Foto in copertina gentilmente concessa da Pietro Junior Santapaola

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