Cos’è il rischio subsidenza e quale è il rapporto con le perforazioni nell’Adriatico

L’idea di far fronte alla crisi del gas con le cosiddette “trivelle” per sfruttare i giacimenti nel Mediterraneo sta ricevendo numerose critiche. Ne abbiamo discusso con il geologo Giulio Torri e il docente di Geophysics Marco Giudici

L’idea di far fronte alla crisi del gas con le cosiddette “trivelle” per sfruttare i giacimenti nel Mediterraneo sta ricevendo numerose critiche. Secondo il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PITESAI) redatto nel 2019, al largo delle coste del Veneto e del Molise vi è il maggior numero di pozzi produttivi. Da qui la preoccupazione che l’intensificazione delle attività estrattive porti a danni geologici, come il fenomeno ribadito recentemente dal governatore del Veneto Luca Zaia: quello della subsidenza. Si tratta di una condizione in cui il terreno letteralmente sprofonda. Questo fenomeno è spesso associato alla massiccia attività estrattiva umana, riguardante sostanze fluide o solide presenti nel sottosuolo. Pertanto la subsidenza è considerata un fattore di rischio ambientale. Il problema sarebbe maggiormente sentito nelle aree intensamente popolate, in particolare nelle zone costiere; riguarderebbe circa il 14% dei Comuni italiani, prevalentemente quelli del Nord Italia: Pianura padana compresa. Esistono dati sul fenomeno anche nell’Italia centrale e meridionale, mentre le regioni a maggiore rischio sarebbero il Veneto e l’Emilia-Romagna, con circa la metà dei centri abitati coinvolti. Tuttavia, secondo gli esperti il problema della subsidenza nella questione “trivelle” sembra non porsi affatto. Il professor Pietro Teatini, docente di ingegneria idraulica, in una intervista rilasciata lo scorso gennaio a Geopop ha affermato che il problema non dovrebbe interessare i territori costieri dell’Adriatico. È possibile dunque, che la legge contro le trivelle abbia motivazioni più politiche e sociali che scientifiche:


I giacimenti al largo dell’Adriatico hanno un’area molto piccola – spiega il professore -, per cui non provocano in alcun modo degli abbassamenti del livello del suolo lungo la fascia costiera, a meno che non siano sotto la costa. Tecnicamente la produzione di gas da quei giacimenti, che sono quasi tutti lontani dalla costa, non può provocare alcun abbassamento a Venezia.


Il geologo Giulio Torri

Il geologo Giulio Torri, collaboratore della pagina di divulgazione Chi ha paura del buio?, spiega a Open come alcuni media nazionali abbiano distorto l’intera questione, a partire dalla scelta del nome “trivelle”. «Questo termine per chi lavora nel settore è aberrante – spiega Torri -. Nell’ambito di quel che riguarda gli idrocarburi le “trivelle” non esistono. Si parla di “perforazioni”, “permessi di ricerca” o “concessioni di coltivazione”». Va bene, il termine è sbagliato. Esiste comunque un problema di sprofondamento dei terreni e dei fondali, che potrebbe minacciare diverse città, come Venezia. Tale fenomeno è davvero dovuto a queste attività di perforazione? «Sono d’accordo con quanto sostenuto dal professor Teatini – continua il geologo -, ed è quel che abbiamo visto anche in Emilia Romagna. La subsidenza è un fenomeno reale di naturale origine geologica, esteso a tutto il bacino dell’area padana e adriatica. Ci sono delle operazioni umane che possono accelerarlo in punti precisi. Può trattarsi di estrazioni di gas, ma soprattutto l’estrazione di acqua; per esempio a uso industriale o idro-potabile. Non a caso in Emilia Romagna le zone a massima subsidenza sono in corrispondenza di grossi prelievi di acqua». Per quanto riguarda le corrispondenze su prelievi di gas, il docente sottolinea che «sono concentrate sui giacimenti nel mare. Non sono estese a livello di bacino». Si è parlato anche di problemi di subsidenza dovuti alle attività estrattive di 70 anni fa. «Ho riletto le dichiarazioni riguardo al fenomeno come esito dello sprofondamento dei terreni sottomarini, a seguito delle attività di estrazione negli anni ’50, tutto vero, ma l’origine del problema è un altro. Il problema geologico dell’epoca era dovuto al fatto che i fiumi vennero svuotati dai sedimenti per le costruzioni del boom economico. Questo aspetto ha gravato sulla dinamica costiera e sì, sulla subsidenza, che ricordiamo essere un fenomeno naturale».

Marco Giudici, preside di Geophysics all’Università di Milano

Il professor Mauro Giudici, geofisico dell’Università degli Studi di Milano, dove presiede il corso
di Laurea magistrale in Geophysics, aggiunge che «la subsidenza in Pianura padana e nell’alto Adriatico è la somma di diversi fattori, alcuni naturali altri indotti dall’attività umana. L’accentuazione della subsidenza naturale creò problemi notevoli, già negli anni ’70 del XX° Secolo, soprattutto a causa dei forti emungimenti di acque dal sottosuolo in alcune aree urbane (Milano, Venezia, Bologna, ad esempio)». È possibile che a questo si aggiungesse anche la compattazione dei depositi da cui veniva estratto il gas? «Una valutazione oggettiva e quantitativa in merito richiede informazioni, che a quanto mi risulta non sono ancora pubbliche – continua Giudici -. Non ho ancora avuto modo di leggere il testo del DPR annunciato nella conferenza stampa governativa del 10 novembre scorso. Le prime informazioni sembrano indicare che l’incremento della produzione nazionale di gas dovrebbe ottenersi con un aumento delle quantità estratte da coltivazioni esistenti in zone di mare e l’autorizzazione di nuove concessioni tra le 9 e le 12 miglia, verosimilmente al largo della costa veneta e romagnola. Se così fosse, rifacendosi ai risultati dei lavori dei colleghi padovani di alcuni anni fa, in particolare del professor Gambolati e del professor Teatini, i giacimenti sarebbero a distanze tali che l’impatto sulle aree costiere sarebbe estremamente contenuto, tanto da non creare problemi ad un sistema così delicato dal punto di vista ecologico e ambientale come quello della laguna veneta».

Foto di copertina: ANSA | piattaforma estrazione offshore gas petrolio energia idrocarburi pozzo trivella.

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