L’hostess che accusa il manager pubblico: «Non mi voleva vedere perché ero grassa»

Una denuncia anonima nei confronti dell’ex a.d. di Cassa Depositi e Prestiti. E accuse dalle lavoratrici di Acea. Ma lui parla di diffamazione

Una lavoratrice precaria che prestava servizio in Cassa Depositi e Prestiti per il Gruppo Servizi Associati accusa l’ex amministratore delegato Fabrizio Palermo. All’edizione romana di Repubblica la donna, sotto anonimato, racconta che «Palermo non voleva assolutamente vedermi. Perché ero grassa. Il suo canone estetico era quello delle fotomodelle ed è stato chiesto a un’ulteriore agenzia esterna di fornire ragazze di bell’aspetto». La denuncia (mediatica) fa seguito a quelle dei giorni scorsi sempre sul manager pubblico, che ora lavora in Acea. E che l’a.d. ha respinto in una nota in cui ha puntato il dito sulla revisione dei contratti di appalto che avrebbe portato ad accuse “diffamatorie” nei suoi confronti. C’è anche una “denuncia” anonima fatta recapitare il 4 gennaio scorso sul tavolo della presidente di Acea Micaela Castelli


La denuncia anonima

Sostiene che il manager «pretende di essere servito e riverito dalla mattina alla sera con modalità di asservimento da terzo mondo riguardo il rispetto delle donne, le quali vengono sminuite a semplici serve». Altre lavoratrici hanno sostenuto nei giorni scorsi di essere state preda di comportamenti «viziati da razzismo maschilista. Spesso – racconta una di loro – in tarda mattinata, l’ad vuole una mela. Ma la vuole sbucciata. Da noi hostess. Bisogna portargliela in un piattino con il coltello accanto per tagliarla». Secondo le lavoratrici Palermo vuole anche il té: «È una delle sue fissazioni che lo portano a trattarci come serve. Una volta si è soffermato nel cucinotto all’ottavo piano e ha voluto assistere alla preparazione di un tè destinato a lui. Quando ha visto che la tazza con l’acqua veniva messa nel forno a microonde si è infuriato, vuole che l’acqua venga scaldata solo con il bollitore».


L’hostess e la forma fisica

L’hostess invece racconta a Marina de Ghantuz Gubbe che «una volta il mio capo mi ha spostato della reception al servizio di accompagnamento. Da lì si è scatenata la bufera: mi hanno detto che dovevo stare esclusivamente seduta in modo che mi vedessero solo dalle spalle in su. Per un anno ho lavorato nel terrore. Sapendo che Palermo non poteva vedermi evitavo di alzarmi. Poi mi hanno messo al back office e infine fatta andare in un’altra sede». La donna dice di aver sempre sofferto di disturbi alimentari e bulimia: «Quello che è successo mi ha fatto malissimo. Era l’ennesima prova che se non hai un certo corpo, se non rientri in quei canoni, neanche puoi lavorare come receptionist a meno di 5 euro l’ora. Ho avuto delle ricadute, sono ingrassata ancora di più, non riuscivo a uscirne. Ora sto bene, grazie alla psicoterapia e all’aiuto della dietologa».

La macedonia e il vestiario

La hostess racconta anche che il manager voleva una preparazione particolare per la sua macedonia: «Bisognava prepararla sistemando la frutta in maniera simmetrica». E aggiunge che un collega della sicurezza ha fatto un corso da cameriere. E quando c’erano pranzi istituzionali si metteva la livrea. Infine, il vestiario: «La nostra azienda doveva fornirci le scarpe, ma poi abbiamo dovuto indossare delle décolleté a punta. Una tortura: mentre accompagnavo un ospite al primo piano sono cascata di faccia sulle scale. Altre colleghe hanno avuto degli incidenti a causa delle scarpe e in quel caso abbiamo messo in mezzo i sindacati a cui abbiamo fatto vedere le ginocchia distrutte».

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