Il Garante privacy ha sanzionato per 176mila euro Roma Capitale e per 239mila euro Ama, società in-house a cui è affidata la gestione dei servizi cimiteriali, per aver diffuso i dati delle donne che avevano affrontato un’interruzione di gravidanza, indicandoli su targhette apposte sulle sepolture dei feti presso il Cimitero Flaminio. Nel provvedimento viene ammonita, ma non sanzionata, la Asl Roma 1. La vicenda era salita agli onori della cronaca nell’ottobre del 2020 quando una serie di donne scoprirono che il loro nome e cognome risultava su alcune croci presenti nel cimitero capitolino. Senza il loro consenso, e senza nemmeno esser informate della sepoltura del feto dopo l’aborto, spesso terapeutico. Lo scorso novembre la giunta capitolina è intervenuta sul Regolamento di polizia cimiteriale, introducendo la tutela della privacy e dando la possibilità di scegliere quale sepoltura dare al feto, andando anche a sanare una questione rimasta in sospeso da almeno due anni, nonostante le denunce e le inchieste.
La catena che ha permesso la violazione della privacy
In base alla normativa di riferimento i «prodotti del concepimento» di età inferiore alle 20 settimane possono essere sepolti solo su richiesta dei genitori, mentre la sepoltura è sempre prevista per i «nati morti». Per i «prodotti abortivi», quindi superiori alle 20 settimane, la sepoltura sarà comunque disposta dalla struttura sanitaria dopo 24 ore, anche senza richiesta dei genitori. Dall’istruttoria del Garante è emerso che la diffusione illecita è stata originata da una comunicazione di dati effettuata in violazione del principio di minimizzazione. Parte tutto dalla Asl Roma 1, che aveva trasmesso ai servizi cimiteriali la documentazione con i dati identificativi delle donne. Le informazioni erano state poi riportate pari pari nei registri cimiteriali (determinando quindi la possibilità di estrarre un elenco di chi aveva effettuato un’interruzione di gravidanza in tutte le strutture ospedaliere del territorio). Non solo, il passaggio finale è quello che poi ha comportato alla sanzione: sulle croci, nonostante la normativa specifica preveda che, per l’apposizione della targhetta sul cippo, le informazioni da indicare siano quelle del defunto furono messi nomi e cognomi di chi aveva effettuato l’interruzione di gravidanza. Oltre ad aver applicato la sanzione nei confronti di Roma Capitale e Ama, il Garante ha ordinato all’Azienda sanitaria di non riportare più le generalità in chiaro sulle autorizzazioni al trasporto e alla sepoltura e sui certificati medico legali. Nel provvedimento l’Autorità ha inoltre indicato alla Asl alcune misure tecniche e/o organizzative (come l’oscuramento dei dati identificativi delle donne, la pseudonimizzazione o la cifratura dei dati) che garantirebbero la possibilità di individuare con certezza il prodotto del concepimento e il luogo della sua sepoltura, senza consentire però di risalire all’identità della donna.
Leggi anche:
Roma, cambiano le regole per la sepoltura dei feti: stop ai nomi delle donne sulle tombe