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La storia di Menjivar-Ayala, il vescovo arrivato negli Usa in un bagagliaio: «Nella mia parrocchia battezzo i figli delle coppie gay»

30 Luglio 2023 - 18:06 Redazione
A dicembre Evelio Menjivar-Ayala è diventato vescovo ausiliare di Washington. E c'è chi già traccia parallelismi con Papa Francesco

Per tre volte nell’arco di un anno, un adolescente senza documenti in fuga da El Salvador devastato dalla guerra ha tentato senza successo di superare il confine meridionale degli Stati Uniti. Al suo primo tentativo, fu deportato dal Messico. Al secondo, l’auto che lo trasportava tornò indietro in Guatemala. Al terzo, venne arrestato in Messico e finì in prigione. L’unica opzione rimasta Evelio Menjivar-Ayala era rischiare una mossa più disperata. Dopo due giorni di detenzione, Menjivar, suo fratello e due cugini pagarono una mordida – una tangente – per essere rilasciati. Poi, d’accordo con un contrabbandiere, si infilarono nel bagagliaio di un’auto guidata da un anziano statunitense. Quando avrebbero sentito l’auto fermarsi e il volume della musica aumentare, sarebbe stato il loro segnale di stare fermi e in silenzio. È così che Menjivar e tre dei suoi fratelli superarono il porto d’ingresso di San Ysidro, in California, tra Tijuana e San Diego. 

I quattro giovani trascorsero ore in quel baule prima di raggiungere Los Angeles, dove li attendevano la sorella di Menjivar, e una nuova vita. In un villaggio di montagna nel Paese mesoamericano di El Salvador, sua madre, che aveva acceso candele di preghiera affinché non succedesse nulla di male ai suoi figli, aveva indetto una messa di ringraziamento. Senza documenti, senza sapere l’inglese e con solo un’istruzione di prima media incerta, Menjivar è cresciuto fino all’età adulta facendo praticamente qualsiasi lavoro potesse ottenere – edilizia, pulizie, imbianchino – a volte alla mercé dei capi che sapevano che il suo status legale rischioso significava che non avrebbe osate lamentarsi delle condizioni di lavoro pericolose e dei salari non pagati. Ma andò avanti con la convinzione che Dio aveva in mente un percorso per lui, anche se doveva ancora discernere quale sarebbe stato.

No, non ho mai messo in discussione la mia fede, ha spiegato Menjivar a Karen Tumulty, che lo ha intervistato per il Washignton Post. «La fede è stata ciò che mi ha sostenuto», ha aggiunto. Oggi, quel diciannovenne tuttofare che è stato contrabbandato oltre confine nel gennaio del 1990 viene chiamato con l’appellativo di Vostra Eccellenza, dato che il 19 dicembre scorso Papa Francesco lo ha nominato tra i due nuovi vescovi ausiliari dell’arcidiocesi di Washington. Distretto dove risiedono 700 mila cattolici, ma non la madre di Menjivar che da El Salvador ha percorso più di 3.000 miglia per assistere alla cerimonia il 21 febbraio scorso presso la Cattedrale di San Matteo Apostolo nel centro di Washington. «Dio ha ascoltato le preghiere di una madre umile», ha dichiarato felice.

Ritenuto uno dei primi vescovi nati in America centrale degli Stati Uniti, Menjivar si distingue nella gerarchia ecclesiastica per le sue posizioni. A 52 anni, ha oltre 10 anni in meno della media anagrafica, in costante aumento, dei vescovi cattolici degli Usa. Tuttavia, è lui – non loro – a rappresentare ciò che la chiesa sta diventando. La crescita della popolazione cattolica della nazione nell’ultimo decennio è dovuta quasi interamente a immigrati latini. Sintomo di un cambio di paradigma che vede i Paesi dell’occidente, da secoli promotori dei valori della cristianità, divenire sempre più laici, mentre il cristianesimo guadagna sempre più terreno in Stati storicamente legati ad altri culti, come quelli africani. Nella chiesa dove Menjivar professava prima di diventare vescovo, i fedeli sono circa il 60% latini e il 35% immigrati dall’Africa. Cambiamento che avviene più lentamente negli alti ranghi della chiesa, dove 9 vescovi su 10 sono bianchi non ispanici.

Secondo il Washington Post, poi L’ascesa di Menjivar riflette anche quello che è stato definito «l’effetto Francesco»: una direzione più inclusiva e meno giudicante in cui il primo pontefice latinoamericano ha cercato di guidare la Chiesa. Francesco non ha apportato modifiche significative alla dottrina durante il suo decennio a San Pietro – come, ad esempio, consentire alle donne di diventare sacerdoti o ai sacerdoti di sposarsi. Ma ha guidato la Chiesa con una prospettiva più umile e progressista. Ha riconosciuto, ad esempio, che ci sono circostanze in cui il divorzio può essere «moralmente necessario». Francesco è stato anche quello che ha difeso il presidente Joe Biden, quando i cattolici più conservatori sostenevano che l’inquilino della Casa Bianca non avrebbe diritto alla comunione per le sue posizioni a favore dell’aborto.

Inclusività che si ritrova nella parrocchia storica di Menjivar, St. Mary a Landover Hills, nel Maryland. Lì, le famiglie guidate da genitori gay fanno parte della comunità ecclesiastica, ad esempio. Quest’anno, Menjivar ha persino battezzato uno dei loro figli e ha dato la Prima Comunione ad altri tre. Nel suo sermone finale come pastore di St. Mary, Menjivar si è lamentato del fatto che la religione è troppo spesso usata come copertura per la paura, il giudizio e il pregiudizio. Ha invitato i suoi parrocchiani a mostrare maggiore comprensione nei confronti dei nuovi immigrati, dei genitori single e delle famiglie divise dal divorzio, degli anziani soli, di chiunque sia in difficoltà. «Non possiamo dire di amare Dio se non amiamo coloro che ci sono più vicini», ha detto. «Empatia, fratelli e sorelle. Empatia – mettersi nei panni degli altri – è realizzare la nostra comune umanità», ha aggiunto.

«Quando camminiamo con le persone, prima di tutto, le ascoltiamo. Ed è questo che ci chiede papa Francesco, ascoltare la gente. Ascolta le persone, non giudicare le persone», ha spiegato. «Se il primo approccio è giudicare le persone e condannare le persone, non c’è da stupirsi che le chiese siano vuote. Perché il nostro ministero è diventato portinai e non evangelizzatori, solo portinai. No, dobbiamo ascoltare e camminare con tutti». Quinto di sette figli, Menjivar è nato nel 1970 nella frazione salvadoregna di Carasque, vicino al confine con l’Honduras. Quando aveva 9 anni scoppiò la guerra civile che avrebbe devastato il suo paese per una dozzina di anni. 

Menjivar aveva 12 anni quando la sua famiglia fu cacciata da Carasque. Si sono trasferiti nel comune più grande di El Paraiso, dove sono stati spesso trattati come estranei indesiderati. «Era difficile essere rifugiati nel proprio Paese», ha detto. «Abbiamo affrontato la discriminazione, gli stereotipi di un immigrato». Ha frequentato la scuola solo sporadicamente ed era ancora in terza elementare all’età di 13 anni. Con un’importante guarnigione dell’esercito nelle vicinanze, la sanguinosa guerra infuriava alle loro porte. L’esercito controllava la terra durante il giorno; i guerriglieri hanno preso il sopravvento di notte. Entrambi cercavano costantemente di arruolare giovani uomini. Il padre di Menjivar ha esortato lui e suo fratello ad andare a nord piuttosto che affrontare quella che probabilmente sarebbe stata una morte prematura.

È così che è finito nel bagagliaio di un’auto diretta a Los Angeles con un solo cambio di vestiti nello zaino. In quel periodo, mentre la guerra stava finendo, Menjivar fece domanda di asilo. Da lì seguirono anni di duro lavoro, ma anche l’istruzione una laurea. Gran parte della sua famiglia si trasferì negli Stati Uniti. Quel che è certo è che ora è vescovo ausiliare di Washington. Che è ancora giovane e ha una lunga carriera ecclesiastica davanti a sé, e che nel 1992 ad essere vescovo ausiliare di Buenos Aires era un tale Jorge Mario Bergoglio.

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