Botte e insulti alla moglie, ma per il pm è un «fatto culturale». Parla la vittima: «Venduta a lui, mi trattava da schiava»

L’uomo potrebbe essere assolto secondo la tesi del pm di Brescia, che punta il dito anche contro la donna colpevole di «aver accettato in origine» la cultura del marito

Fa discutere l’espressione scelta da un pubblico ministero di Brescia riguardo il caso di una donna del Bangladesh che ha denunciato l’ex marito per maltrattamenti. Nei confronti dell’imputato, infatti, il pm ha chiesto l’archiviazione, sottolineando che il suo comportamento sarebbe connesso all’«impianto culturale» del paese d’origine, come riporta il Giornale di Brescia. Nel dettaglio, l’accusa ha sostenuto che «i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine».


Il matrimonio combinato e le botte in casa

La donna, parte civile nel processo, intervistata dal Giornale di Brescia non nasconde la sua amarezza: «Non può certo la cultura essere una scusante come scrive il pm». «Io ho lottato per me, per le mie figlie e continuerò a farlo per le donne che subiscono oggi quello che ho subito io, affinché possano sentirsi libere di denunciare senza subire i pregiudizi», promette inoltre. Ricorda che il matrimonio con l’imputato («a cui sono stata “venduta” per 5.000 euro», puntualizza) non è stato altro che il frutto di una decisione dei suoi zii, a cui lei si era opposta sin da subito. La donna viveva in Italia dall’età di quattro anni e, nonostante il matrimonio fosse avvenuto in Bangladesh, è qui che la coppia ha scelto di stabilirsi. «Da subito mi ha costretta a stare in casa. (…) Potevo solo uscire quando c’erano serate con le mogli degli altri ed ero costretta a indossare abiti islamici. Non potevo dire nulla, oppormi a queste situazioni, altrimenti ricevevo urla, insulti e botte. (…) Così con le botte, gli insulti, e il ricordo di essere in gabbia mi ha costretta a sottostare alla condizione di schiava per anni. Nel 2019 ho trovato il coraggio di denunciare dopo anni di totale annullamento, con la costante minaccia di essere portata definitivamente in Bangladesh», ha spiegato ancora la donna. Adesso bisognerà aspettare di vedere se la richiesta del pm sarà accolta, e di conseguenza se l’uomo in questione potrà o meno considerarsi assolto.


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