Femminicidi, l’assurdo vuoto normativo che permette al marito di decidere sul corpo della vittima dopo averla uccisa

Il caso dei fratelli Guadagno, orfani di femminicidio che hanno affrontato una battaglia legale con il padre per scegliere sulla salma della madre, ha sollevato una situazione giuridica paradossale che la politica non riesce a risolvere

Un uomo condannato per aver ucciso la moglie, conserva il diritto di decidere sul corpo della vittima post mortem. Una situazione paradossale che trova origine in un vuoto normativo del sistema giuridico italiano e che solleva evidenti criticità. Attualmente, infatti, la normativa vigente riconosce solo al coniuge il diritto di stabilire se cremare il corpo della moglie (o del marito), in quale città seppellirla, e in quale cimitero o casa custodirne i resti. Solo in assenza del coniuge, questo diritto passa al parente più prossimo, come figli, genitori o fratelli e sorelle. Un aspetto giuridico che genera scenari contraddittori, oltre che dolorosi, per i parenti della vittima: la legge che punisce l’uomo femminicida, che ha agito con la mentalità di considerare la moglie come una proprietà, consente di replicare la stessa violazione attraverso il diritto di proprietà sul corpo della vittima, nel pieno rispetto della legge.


Il caso della famiglia Guadagno

Lo sanno bene i fratelli Pasquale e Annamaria Guadagno, orfani di femminicidio. Nel 2010, all’età di 14 e 17 anni rispettivamente, hanno perso la madre Carmela Cerillo, uccisa dal marito Salvatore Guadagno, loro padre. Circa un anno e mezzo fa, i figli hanno iniziato a informarsi per rispettare le volontà della madre di essere cremata e trasferita da Udine, città in cui viveva, a Napoli, sua città natale. Ma, in assenza di testamento, la legge stabilisce che la decisione spetta al padre. Quest’ultimo si è opposto, dichiarando di voler cremare la moglie e tenere con sé le ceneri. Pasquale e Annamaria, affiancati dal loro legale, sono riusciti in questi mesi a raggiungere un accordo in via conciliativa, solo dopo un lungo e doloroso iter giudiziario. Vicenda che ha sollevato l’urgenza di una revisione legislativa per evitare che il diritto di disposizione del corpo resti nelle mani di chi ha commesso il femminicidio.


La politica in stallo

Contattati da Open, diversi membri della Commissione Giustizia della Camera hanno confermato che, al momento, non vi sono provvedimenti in lavorazione per affrontare questa problematica. Tuttavia, sollecitata sulla questione, l’esponente dem Michela De Biase, fa sapere che sta considerando l’ipotesi di presentare un emendamento al primo provvedimento sul tema della violenza di genere. Anche la presidente della Commissione Giustizia del Senato, Giulia Bongiorno (Lega), riferisce che si tratta di una questione di diritto civile che sta attenzionando: «Sto lavorando da qualche tempo a cercare di colmare la lacuna. Quando potrò depositerò», comunica.

Tra le fila della politica, chi ha seguito il caso di Pasquale e Annamaria in prima linea è Mariolina Castellone del Movimento 5 Stelle. Lo scorso aprile, ha promesso loro che il partito sarebbe intervenuto con un provvedimento. Raggiunta da Open, ha confermato che il partito ha intenzione di elaborare un testo da presentare come emendamento al primo decreto utile sul tema. Nulla è ancora stato scritto nero su bianco e non vi è stato un confronto con le altre forze politiche sulla questione. Tuttavia, incalza Michela De Biase, «il caso di Pasquale e Annamaria Guadagno è agghiacciante ed è una questione di buon senso su cui faremo ulteriori verifiche e valuteremo come intervenire. È un aspetto su cui non dovrebbero esserci divisioni politiche».

I passi avanti con la legge del 2018

Le intenzioni politiche ci sono, ma mancano, per ora, iniziative concrete, mentre la necessità di un intervento legislativo resta evidente per garantire giustizia e rispetto verso le vittime di femminicidio e i loro familiari, evitando che un vuoto normativo diventi strumento di ulteriore sofferenza. A tutela degli orfani di femminicidio, spiega a Open l’avvocata Consuelo del Ross che ha seguito i fratelli Guadagno, «qualcosa è cambiato con la legge n.4 del 2018, la quale – oltre a riconoscere tutele processuali ed economiche ai figli non autosufficienti – è intervenuta sull’indegnità a succedere con la finalità di renderne automatica l’applicazione in caso di condanna per omicidio in ambito domestico». Di conseguenza, la chiamata all’eredità del condannato viene sospesa automaticamente, senza la necessità di avviare un’azione legale in sede civile. Inoltre, «sospende il diritto alla pensione di reversibilità/indiretta o una tantum al partner omicida dal momento del rinvio al giudizio fino alla sentenza di condanna definitiva». Tuttavia, evidenzia la legale, «non hanno considerato di modificare le norme relative alle funzioni cimiteriali, secondo cui è solo il coniuge a disporre del corpo della moglie».

Leggi anche: