Dati Istat novembre 2018 occupazione aumenta tra over 50 male donne e giovani

Giovani e donne si confermano i malati cronici del nostro mercato del lavoro

Il mercato del lavoro italiano è fermo. È questa la considerazione principale che si può fare alla luce dei dati diffusi il 9 gennaio da Istat. Si confermano le patologie ormai croniche di un mercato che punisce donne e giovani e che non si fonda più sul faro che ha illuminato la maggior parte del secolo scorso: il posto fisso. Ma vediamo una cosa alla volta. 


Giovani e donne, i due malati italiani 


Il numero degli occupati è stabile (una leggera crescita di 4mila unità) ma dietro questo numero si nasconde la prima patologia. Infatti il numero 4mila è dato da una crescita di 19mila occupati maschi e da un calo di 23mila occupati femmine. Una dinamica che si conferma se allarghiamo lo sguardo agli ultimi tre mesi (+10mila maschi, -36mila femmine) e, soprattutto, agli ultimi dodici con ben 129mila occupati maschi in più e 30mila femmine in meno. L'occupazione femminile è cresciuta molto negli anni della crisi con quasi un milione di occupate in più (molto lavoro part-time e molte occupate over 50) ma negli ultimi trimestri è tornata a diminuire. Il problema è che il punto di partenza pre-crisi era molto basso e la crescita non è stata certo sufficiente per farci raggiungere risultati accettabili, restiamo agli ultimi posti in Europa. Stesso problema sul fronte giovanile. L'occupazione degli under 35 è stabile, con una piccola crescita dello 0,1%. Se confrontata con quella degli over 50 scopriamo però che questi crescono 10 volte tanto. E il numero di giovani con una occupazione diminuisce ancora, con un aumento allo stesso tempo del numero di inattivi. 

Meno disoccupati, ma non è una buona notizia

Un secondo fronte è quello della disoccupazione. Dopo alcuni mesi di risalita a novembre torna scendere, ma occorre capire meglio questo dato. Per farlo è importante richiamare un paio di nozioni statistiche spesso ignorate quando si parla di mercato del lavoro (qui il Glossario Istat). I disoccupati sono le persone che non hanno un lavoro e che lo cercano attivamente, gli inattivi sono le persone che non hanno un lavoro e che, per diversi motivi, non lo cercano. A novembre i dati ci dicono che sono diminuiti i disoccupati di 25mila unità, ma sono aumentati gli inattivi di 26mila. Quindi il dato potrebbe sembrare positivo, ma non lo è. Non si possono sovrapporre esattamente i numeri (perché nel frattempo la popolazione cambia, le persone vanno in pensione ecc.) ma con tutta probabilità abbiamo avuto migliaia di disoccupati che hanno smesso di cercare lavoro e sono diventati inattivi. 

Decreto Dignità, non pervenuto

Il terzo elemento da considerare è l'effetto del Decreto Dignità. Il mese di novembre era atteso da tutti come il mese della verità, infatti la legge entrava in vigore pienamente dopo il 31 ottobre 2018. I risultati? Al momento non pervenuti, se non in minima parte. Infatti gli occupati a tempo indeterminato aumentano di sole 15mila unità ma soprattutto quelli a termine diminuiscono di soli 22mila. Se prendiamo il trimestre e i dodici mesi l'andamento è lo stesso degli ultimi anni con un grosso calo degli occupati con il famoso posto fisso e una crescita degli occupati a tempo ormai da mesi sopra la cifra psicologica dei 3 milioni. 

Il mito del posto fisso

Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi ma ad oggi sembra che il tentativo di fermare la crescita del lavoro a termine non stia funzionando. Forse perché il problema non è certo normativo ma economico. Da anni infatti stiamo assistendo a profondi cambiamenti nei cicli economici, con le imprese che si muovono per cicli brevi e hanno esigenze sempre diverse di competenze e lavoratori. E con lavoratori, i giovani sono l'esempio principale, che hanno sempre meno interesse per un posto di lavoro fisso e più interesse per percorsi ed esperienze che, pur con salari dignitosi, consentano di accumulare esperienze. I dati ci suggeriscono di cambiare approccio e iniziare, come molti paesi europei fanno da decenni, ad immaginare soluzioni che consentano una stabilità all'interno di cambiamenti continui e carriere discontinue. Ad oggi non è facile perché spesso rinunciare ad un lavoro a tempo indeterminato coincide con la rinuncia a molte tutele. Ma non è scritto da nessuna parte che debba essere così. 

 

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