L’aumento riguarda anche i lavoratori più giovani: nel 2018, le denunce che hanno riguardato la fascia fino a 19 anni sono salite da 13 a 21, mentre quelletra i 25 e 39 annisono saliteda 184 a 218. Lo stesso vale per le denunce di infortunio, in aumento del 4% nella fascia under 34.Salgono anche le denunce riguardanti le malattie professionali, come l’asbestosi da amianto, problema presente da sempre ma che difficilmente, in passato, si concludeva una denuncia.
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Davide, 24 anni, morto sul lavoro
Tra gli ultimi casi di “morte bianca”, c’è quello di Davide Di Gioia, 24 anni, morto dopo essere caduto dal tetto di un capannone. Davide aveva cominciato a lavorare da appena un mese come operaio per un’azienda di Bari e avevaun contratto di apprendistato. Secondo i sindacati, è possibile che il ragazzo svolgesse delle mansioni non previste dal suo contratto. «L’apprendistato- spiega Giuseppe Boccuzzi, segretario generale della Cisl di Bari – è un contratto di lavoro subordinato e, come tutti gli altri, fa riferimento al Testo Unico sulla Salute e sulla Sicurezza sul Lavoro». Anzi, rispetto a un contratto di lavoro normale, l’apprendistato dovrebbeprevedere ancora più tutele: normalmente, nelle aziende, il lavoratore apprendista deve essere affiancato da un lavoratore esperto, il cosiddetto tutor, che non può lasciarlo solo nelle mansioni più difficilio più a rischio. Nel caso di Davide non abbiamo ancora elementi per capire cosa sia successo: la procura di Bari ha aperto un’inchiesta.
I problemi – secondo Boccuzzi -si fanno più seri nelle aziende con meno di 10 lavoratori, che in Italia costituiscono il 90% delle imprese.Lì, l’intervento sindacale è spesso scarso o assente, e i lavoratori non hanno nessun punto di riferimento: «C’è bisogno che si colmi il vuoto attraverso la valorizzazione regionale della figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (Rlst), che gira per queste realtà non tanto per sanzionare i datori (non sono ispettori del lavoro), ma per promuovere nei dipendenti una coscienza sui diritti che li tutelano»..
华为, Huawei. Una delle traduzioni possibili di questi due caratteri è «La Cina può». Può arrivare sul mercato degli smartphone, crescere quota dopo quota, e strappare il secondo posto tra i produttori di telefoni. Sotto Samsung e sopra Apple. E può anche arrivare a scatenare una guerra fredda con gli Stati Uniti. Una guerra fredda che abbiamo riassunto in cinque punti.
I conti di Huawei
Huawei è stata fondata nel 1987 da Ren Zhengfei e ha il suo quartier generale a Shenzhen, in Cina. Secondo la World Intellectual Property Organization nel 2017 è stata l’azienda che ha fatto più richieste per depositare brevetti al mondo: 4.024. Sempre nel 2017 ha fatturato oltre 92 miliardi di dollari. Bastano due dati per vedere come questa azienda stia crescendo nel settore degli smartphone.
Il primo è la quota di mercato. Secondo una ricerca Gartner nel secondo quadrimestre del 2018 Huawei è riuscita a piazzarequasi 50 milioni di unità, il 13,3% di tutti quelli venduti al mondo. Il secondo dato è il modo in cui è costruito il telefono da cui, forse, state leggendo questo articolo.
Se avete un modello recente probabilmente avrà più di una fotocamera. Il primo produttore importante a metterne due è stato proprio Huawei nel 2016 quando ha presentato il suo P9, uno standard a cui praticamente tutti i produttori si sono adeguati.
I rapporti tra Huawei e gli Stati Uniti
I rapporti tra Huawei e il governo degli Stati Uniti hanno cominciato a incrinarsi all’inizio del gennaio 2018. Il Financial Times annuncia la rottura dell’accordo tra Huawei e AT&T, una delle più grandi aziende statunitensi di telecomunicazioni. Il contratto prevedeva la distribuzione sul suolo Usa di prodotti realizzati dal colosso di Shenzhen.
Non passa molto che quello che sembrava una trattativa fallita tra privati acquista dimensioni più ampie. A febbraio si riunisce il Senate Select Intelligence Committee, la commissione del Senato degli Stati Uniti che si occupa di sovrintendere le attività di intelligence. È qui che i direttori di Fbi, Cia e Nsa lanciano il primo vero attacco alla tecnologia cinese. La richiesta è chiara: non usate prodotti Huawei e Zte, altra azienda con sede in Cina.
Ecco le parole di Chris Wray, direttore Fbi: «Siamo molto preoccupati dei rischi che comporta permetterea società o entità controllate da governi stranieri che non condividono i nostri valori, di guadagnare posizioni di potere all’interno delle nostre reti di telecomunicazione. Questo permette di esercitare pressioni o controllare la nostra infrastruttura di telecomunicazione e la capacità di modificare o sottrarre intenzionalmente informazioni e di condurre una attività di spionaggio non rilevato».
L’arresto di Meng Wanzhou
Dopo pochi mesi e il bando a Huawei si estende. A novembre il Wall Street Journal riporta la notizia che il governo americano avrebbe avviato una campagna di sensibilizzazione per chiedere ai Paesi alleati di non utilizzare i prodotti dell’azienda cinese. Il rischio ipotizzato dagli americani è sempre lo stesso: violazione di sicurezza informatica.
La scintilla che infiamma la polveriera parte il 1 dicembre, all’aeroporto di Vancouver. Meng Wanzhou, direttore finanziario di Huawei e figlia del fondatore Ren Zhengfei, viene arrestata dalla polizia canadese su mandato di cattura americano.
Nelle stesse ore Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping sono a Buenos Aires, mentre cenano per discutere una tregua sui dazi commerciali. Meng Wanzhou è stata arrestata con l’accusa di aver cercato un canale commerciale con l’Iran nonostante le sanzioni internazionali.
Spie (sospette) a Varsavia
Altri arresti, questa volta a Varsavia, in Polonia. Il 2019 è iniziato da pochi giorni quando un manager di Huawei viene fermato insieme aun ex agente polacco, con l’accusa di essere delle spie per conto della Cina. In queste settimane si inizia anche a parlare di un altro dei motivi che potrebbero aver causato questa guerra. Non solo le accuse di spionaggio, non solo la competizione per la supremazia tecnologica, ma anche la corsa per il 5G, su cui il colosso di Shenzhen sta investendo molto.
Solo in Italia la vendita delle frequenze per questo nuovo sistema di comunicazione ha fruttato 6,55 miliardi di euro. Non è un solo passo avanti rispetto alla rete 4G, quella che usiamo oggi, è decisamente un balzo.
Il 5G sarà oltre 30 volte più veloce e permetterà alle aziende di sfruttare questa connessione anche per i processi industriali. E, come scrive il New York Times, «Quello che è buono per i consumatori, è buono anche per i servizi di intelligence e gli attacchi cibernetici».
La giustizia americana svela le sue carte
In una partita a poker lo showdown è il momento in cui si svelano le carte per mostrare cosa si ha in mano. In questa storia quelle carte sono state girate il 28 gennaio, quando il Dipartimento di Giustizia americano ha reso pubblici due atti di accusa contro Huawei.
Uno è il filone iraniano, quello che ha portato all’arresto di Meng Wanzhou, per cui ora gli Usa chiedono l’estradizione. Huawei avrebbe usato una società chiamata Skycom per vendere telefonia a Teheran nel 2007, nonostante le sanzioni. Il reato di cui si parla nei documenti è frode finanziaria.
Il secondo filone riguarda T-Mobile, un operatore di telefonia mobile. Secondo le accuse, alcuni dipendenti di Huawei avrebbero rubato i dati raccolti da Tappy, un robot sviluppato da T-Mobile per sperimentare i suoi smartphone.
Da Shenzen vengono respinte tutte le accuse: «La compagnia nega di aver direttamente, oppure attraverso una società sussidiaria o affiliata, commesso qualunque delle violazioni delle leggi Usa menzionate in ciascuna incriminazione». Tecnologia, politica estera e tribunali. Ottime premesse perché questo elenco di eventi continui ad allungarsi.