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Perché non può chiudere «Radio Radicale»

22 Febbraio 2019 - 22:04 Alessandro Parodi
L'emittente fondata da Marco Pannella che da quarant'anni documenta le sedute del Parlamento e i principali processi fra sei mesi potrebbe non esistere più. La redazione di Radio Radicale ha aperto le sue porte a Open per raccontarci cosa perderebbe il Paese se i suoi microfoni dovessero spegnersi

Radio Radicale rischia di chiudere fra sei mesi. Questa, in estrema sintesi, è la situazione dell'emittente fondata da Marco Pannella che da quarant'anni trasmette le dirette parlamentari e quelle dei processi più importanti. Con una norma di poche righe, il comma 471 sexies all'articolo 1 della legge di bilancio, il governo ha deciso di ridurre del 50% il finanziamento a Radio Radicale che rientra nella definizione «imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale».

Radio Radicale nacque nel 1975 in un appartamento di Roma, per iniziativa di un gruppo di militanti del Partito Radicale. Oggi è destinataria di due finanziamenti pubblici: nell'ultimo decennio, il corrispettivo che le ha riconosciuto il ministero dello Sviluppo economico in cambio della trasmissione delle sedute parlamentari – quindi un servizio pubblico – è stato di 10 milioni di euro all’anno. Oltre a questi, l'emittente riceve anche annualmente 4 milioni di euro dal sostegno all’editoria, ed è qui che rientra nella categoria «di interesse generale». 

Insomma, alla radio che dispone del più importante archivio storico degli atti del Parlamento, si riconosce di fatto di svolgere un ruolo di interesse generale, quindi pubblico, nel quadro dell'informazione italiana. Parallelamente però, tagliando i finanziamenti, si dice a questa testata che deve comportarsi come una qualsiasi impresa privata del settore: cioè cercare finanziatori, sponsor, pubblicità. 

Su questo paradosso è sospesa la sopravvivenza di Radio Radicale, della sua storia, del suo archivio e dei progetti innovativi che ha in programma, come quello finanziato e patrocinato da Google. Si tratta di un sistema in grado di indirizzare in modo rapido e organizzato da una citazione testuale all'audio originale della dichiarazione stesa, in modo da poter verificare tono e contesto per il politico di turno o comunque protagonista di turno.

Abbiamo visitato la redazione di Radio Radicale e ci siamo fatti raccontare dal direttore Alessio Falconio, dall'amministratore delegato Paolo Chiarelli e da Massimo Bordin, che da quarant'anni cura la rassegna stampa, storie, passioni, lotte, vittorie e sconfitte di un caso editoriale unico nel suo genere che rischia di non avere un domani.

Alessio Falconio: «L'archivio di Radio Radicale, grazie al taglio operato dal governo, è messo pesantemente a rischio. Si tratta deI miglior archivio audio-visivo giornalistico che esista ed anche l'unico che è a disposizione di tutti. Noi il servizio pubblico lo facciamo da 42 anni. Abbiamo inventato il servizio pubblico nella documentazione quotidiana dell'attività delle istituzioni, della politica e della giustizia. Ci piacerebbe davvero continuare a farlo. Il presidente Conte ci chiede di stare sul mercato commerciale? Ma non si può interrompere la diretta del ministro Tria – faccio un esempio – in commissione bilancio mandando uno spot che magari riguarda un prodotto commerciale interessato dalla stessa legge di bilancio. Questo cozzerebbe veramente con l'idea di servizio pubblico». 

 

Massimo Bordin: «Ho iniziato a fare la rassegna stampa qui alla fine del 1979. Radio Radicale è una di quelle cose che fin che c'è, tutti dicono, vabbè, la convenzione… Quando non ci sarà più, succederà una cosa che forse, con il governo attuale, potrà essere interessante: questo governo mostra una certa ritrosia a farsi vedere nel momento in cui opera. Ha un'idiosincrasia per le autorità indipendenti. E cosa c'è di più indipendente del Parlamento? Non dovrei spiegarlo io a quelli della democrazia diretta… io neanche ci credo alla democrazia diretta. Mandare la diretta del Parlamento oggi, i dibattiti che fanno o non fanno – perché spesso il Parlamento non fa dibattiti – ma semplicemente vota su cose che spesso sono presentate, questo non è un buon spot pubblicitario. Capisco che vogliano chiudere Radio Radicale. Va detto che quando Radio Radicale iniziò le dirette dal Parlamento anche quelli di allora non erano mica contenti. Ora ci chiudono questi, quelli della democrazia diretta. Fantastico». 

Paolo Chiarelli: «Il nostro obiettivo è sempre stato quello, non solo di salvare e di salvaguardare la storia di questo Paese, ma anche di renderla disponibile, tanto da avere tutto l'archivio pubblico su internet e aver sviluppato un sistema per trascrivere tutti i contenuti audio e video e quindi fare ricerca full text all'interno degli stessi file. Adesso attraverso un progetto finanziato da Google riusciremo a estrarre dall'archivio e da tutto quello che produciamo quotidianamente non solo delle parole chiave, ma anche delle concetti chiave e delle citazioni. Una volta identificata la citazione che interessa si può contestualizzare, cioè si può tornare all'evento multimediale e quindi vedere in che contesto, con quale tono la frase è stata detta. Aiuta ad evitare di distorcere il contenuto che è stato espresso. È il punto finale di un percorso che parte nel '77 e che arriva ad oggi con le nuove tecnologie. Una cosa del genere non credo che esista da nessuna parte. Dovrebbe essere pronto dopo l'estate, ma prendere impegni oggi è impossibile. Non sappiamo quello che faremo da maggio in poi».

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