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I videogiochi ci rendono violenti? Le risposte a questo e ad altri luoghi comuni

06 Aprile 2019 - 19:29 Redazione
La risposta è no: ma non è l'unico mito da sfatare

La teoria della correlazione tra videogiochi e violenza è nata nel 1998, da uno studio di Stephen Kirsh pubblicato sulla rivista Childhood. Il metodo e le conclusioni di Kirsh sono stati bocciati da tempo, ma lo stereotipo è rimasto. Non è l'unico luogo comune sul più grande settore dell'intrattenimento, superiore per mercato e pubblico a quello del cinema di Hollywood. Secondo un'indagine della Royal Society Open Science, condotta su 2 mila giovani inglesi, non c'è nessuna prova che giocare a videogiochi violenti aumenti l'aggressività o i comportamenti antisociali negli adolescenti.

Un'altra ricerca, pubblicata su Molecular Psychiatry è arrivata alla stessa conclusione: un team di psichiatri ha chiesto a 90 persone (età media 28 anni) di giocare ogni giorno per due mesi o a un videogioco violento (GTA V), o a uno non violento (The Sims 3), o evitare del tutto i videogiochi, con il fine di valutare i cambiamenti in tre aree: aggressività, atteggiamenti sessisti e problematiche di salute mentale. I risultati dimostrano che giocare ai videogiochi non influisce negativamente su nessuno di questi aspetti. Chi gioca abitualmente non sarà stupito da questi risultati, ma i detrattori del videogioco satirico Call of Salveenee  (come Alessandra Mussolini) possono tornare a dormire tranquilli.

I videogiochi ci fanno isolare? Sì e no. Agli occhi di un osservatore, un giocatore incollato allo schermo non dà l'impressione di essere un buon interlocutore. Bisogna però ricordare che i videogiochi nascono come momento di socialità: dai primissimi multiplayer con due joystick, alla gigantesca rete di connessioni resa possibile dalla diffusione di internet.

Le comunità online offrono la possibilità di mettere direttamente in contatto, in forme molto nuove, persone accomunate da un interesse comune molto specifico. Queste comunità sono di particolare importanza per le persone con disabilità, che possono superare difficoltà motorie o di interazione negli spazi pubblici. In questo caso il videogioco è un vero e proprio meccanismo di inclusione sociale: non a caso sono sempre più diffusi controller specifici, come quelli per giocatori quadriplegic​i. 

I videogiochi sono una perdita di tempo? Assolutamente no: non solo per i soldi che possono fare guadagnare, per le storie che possono fare scrivere, per le emozioni che possono regalare. Sempre più studi mostrano che impugnare il joystick migliora le nostra abilità cognitiveUna ricerca della Brown University ha scoperto che l'utilizzo di videogiochi (sia a livello personale, che a livello didattico) comporta benefici nell'apprendimento, nella socialità e anche nel generale stato di salute. In particolare, lo studio suggerisce che i giocatori, che allenano da anni le loro capacità visive, semplificano l'apprendimento di qualsiasi tipo di compito visivo, grazie all'affinamento dei meccanismi di consolidamento del cervello.

 

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