Giletti scrive a Open: «Sì alle immagini di Manduria, inchiodano chi vuol voltarsi dall’altra parte»

di OPEN

Il conduttore: «Senza vedere non riesci a capire. Senza vedere resti anestetizzato dentro il tuo credo»

Abbiamo paura di vedere il male? Abbiamo timore che le immagini della violenza subita da un uomo incapace di difendersi da un gruppo di ragazzini di Manduria possa scuotere le nostre coscienze e aprire un dibattito serio su ciò che sta succedendo nella nostra società? Direi di sì, vista la reazione di alcune persone. Da sempre, da tempi lontani, questo tipo di dibattito esiste: vi ricordate le immagini realizzate con grande coraggio e a rischio della vita dai fotoreporter durante la guerra in Vietnam? Furono anche quelle straordinarie fotografie che raccontavano, più delle parole, il dolore e la sofferenza, che permisero all’America di chiedersi se fosse giusto combattere una guerra laggiù. Senza vedere non riesci a capire. Senza vedere resti anestetizzato dentro il tuo credo. Eppure anche quelle immagini vennero criticate: meglio non far sapere la realtà, meglio girare la testa dall’altra parte.


Un giorno di tanti anni fa, quando ero ancora un giovane collaboratore di Giovanni Minoli, andai in una scuola della periferia romana dove si era deciso di dibattere il tema del negazionismo dell’Olocausto. Noi avevamo portato da vedere Memory of the camps, un documentario che raccontava la liberazione di alcuni campi di concentramento nel 1945. Appena si spensero le luci, protetti dal buio in molti urlarono: «Viva Hitler, viva il Duce, morte agli ebrei». Quel clima di follia e di violenza dialettica si placò però all’imporvviso di fronte alla visione delle immagini crude e durissime girate in presa diretta da Bernstein e Hitchcock. Un silenzio che ancora oggi porto dentro di me. Un silenzio che faceva rumore.


La forza di quelle immagini era penetrata dentro l’anima anche di chi aveva una visione orribilmente distorta di ciò che era veramente successo nei campi di sterminio nazisti. Ecco perché decisioni, seppur forti, come quella presa dalla polizia di Stato, non solo vanno comprese ma vanno anche condivise. A Manduria non siamo di fronte auna “ragazzata“. A Manduria c’è molto di più: c è una violenza precisa, continuata, ricercata, che racconta non solo lo sbando di parte della nostra gioventù, ma anche come il silenzio degli adulti che sapevanoserva a coprire irresponsabilmente la banalità del male. Queste immagini inchiodano chi di noi continua a non volere vedere, preferendo pensare che la realtà sia un’altra: quella più comoda, quella meno disturbante.