Riservato – Un legame tra il delitto Moro e la strage di Bologna? Lo strano caso di via Gradoli

di OPEN

Emergono nuovi intrecci tra i nascondigli usati sia dalle Br che dai Nar e servizi segreti deviati

Moltissimi dei lettori di Open non erano ancora nati ai tempi di due dei più tragici episodi della storia della Repubblica Italiana: il sequestro Moro e la bomba alla stazione di Bologna. Il cadavere di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, viene ritrovato nel pieno centro di Roma, in via Caetani, il maggio 1978. L’ordigno che semina la morte nello scalo ferroviario di Bologna esplode alle 10.25 del 2 agosto 1980. Quei ventisette mesi segnano la vita del nostro paese, e molte ombre ancora li circondano.


Il sequestro Moro fu compiuto dalle Brigate Rosse, come confessato dai suoi componenti, l’attentato di Bologna fu realizzato dai neofascisti dei Nar, secondo sentenze definitive, anche se nessuno di loro lo ha mai ammesso. Oggi per la prima volta un elemento, esile ma non trascurabile, mette insieme i due atti terroristici.


Uno degli aspetti più controversi delle indagini sul sequestro Moro fu la scoperta tardiva del covo romano in cui si pensava che l’uomo politico fosse tenuto prigioniero, in via Gradoli. Quel nome, “Gradoli”, fu ufficialmente indicato agli inquirenti (incredibile ma vero) come il risultato di una seduta spiritica avvenuta in Emilia cui avrebbe partecipato anche una figura come Romano Prodi, poi divenuto premier. Probabile che in realtà sia stata una soffiata dei servizi, incompleta: perché per qualche giorno le ricerche si concentrano nella cittadina laziale di Gradoli e non nella omonima via romana. Solo una perdita d’acqua, denunciata dopo che le Br avevano lasciato il posto, fece scoprire il covo. Ma già negli anni successivi si appurò che molte delle abitazioni di quella via erano gestite dai nostri servizi segreti.

Oggi si scopre che nella stessa via anche i Nar, di cui faceva parte Gilberto Cavallini, imputato a 39 anni dall’attentato, avevano due covi, nel 1981. E gli appartamenti in uso ai terroristi di estrema destra, così come quello delle Br, erano riconducibili a società immobiliari e a personaggi legati ai ‘Servizi segreti deviati’, in particolare al Sisde.

L’ultimo sviluppo

Il collegamento è stato scoperto e viene messo in luce, apprende l’Ansa, dal collegio di parte civile, con la richiesta alla Corte di assise, nell’ambito del processo all’ex Nar Gilberto Cavallini, di acquisire atti e sentire alcuni nuovi testimoni, tra cui Domenico Catracchia, amministratore di condominio dell’immobile di via Gradoli 96, dove si nascondevano le Br oltre che amministratore della società proprietaria dello stabile. Un nome che ritorna quando furono individuati i covi Nar, a lui riconsegnati in quanto titolare, di nuovo, dell’immobiliare di riferimento.

A partire dal febbraio del 1980, secondo i documenti prodotti dal collegio di parte civile – avvocati Andrea Speranzoni, Roberto Nasci, Antonella Micele, Alessandro Forti e Andrea Cecchieri – Catracchia era amministratore unico della Immobiliare Gradoli Spa e prima della Srl Caseroma. Da una comunicazione del Sisde emerge che Immobiliare Gradoli era controllata dalla Fidrev, definita una società di consulenza dello stesso Servizio.

L’inchiesta parlamentare

I legali poi si rifanno a un volume dell’ex senatore Sergio Flamigni, membro della prima commissione d’inchiesta sul rapimento e l’omicidio Moro, dove si parla di un sistema di ‘scatole cinesi’, finanziarie a vario titolo legate al Servizio segreto civile, con nomi di soci o amministratori che già nel 1978 erano presenti nelle società immobiliari di via Gradoli 96, il palazzo delle Br.

I misteri sui covi

Il nome della strada romana legato ai covi dei Nuclei Armati Rivoluzionari viene fuori, tra l’altro, dagli interrogatori del pentito Walter Sordi e dalle sentenze del processo ‘Nar 2’, nella Capitale, dove si trattava anche dell’omicidio del capitano di Polizia Francesco Straullu e della guardia scelta Ciriaco Di Roma, impegnati nelle indagini sul 2 agosto 1980. Di uno dei due appartamenti si sa che si trovava al civico 65 e che era frequentato da Francesca Mambro (uno dei tre condannati in via definitiva per la Strage di Bologna), Stefano Soderini, Giorgio Vale e Gilberto Cavallini.

Catracchia, sentito dalla Polizia a novembre 1981 disse di aver riconosciuto i quattro terroristi, poi però, invitato a verbalizzare il riconoscimento, si rifiutò, dicendo di temere per la propria vita. Anche su questo i legali giudicano importante la sua testimonianza. E quella dei poliziotti che nello stesso periodo si appostarono proprio in via Gradoli 96: dopo aver individuato una Lancia Delta in uso a Vale e Mambro, decisero di tenere d’occhio la strada dove sospettavano si rifugiasse il gruppo. Gli agenti videro Mambro e Vale uscire, ma non si riuscì a bloccarli.

Tra l’altro il luogo dell’appostamento, nello stesso immobile del caso Moro, risultò essere stato scelto da un funzionario della Questura, Belisario, perché in uso a una sua conoscente: anche del funzionario le parti civili chiedono l’audizione, così come dell’ex militante di Terza Posizione Enrico Tommasselli, che dichiarò anche lui domicilio nel medesimo stabile.

Secondo il collegio di parte civile è dunque importante approfondire questi legami tra una piccola via di Roma, che ospitò i brigatisti, prima e i Nar di Cavallini, in palazzi gestiti da società direttamente o indirettamente riconducibili a uomini dei Servizi, nelle cui fila c’erano personaggi presenti nelle liste della loggia P2.

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