ArcelorMittal, dopo il vertice a Palazzo Chigi: le questioni ancora aperte e le (possibili) soluzioni

Il doppio piano del governo per scongiurare l’abbandono dell’azienda franco-indiana. Le possibili concessioni delle parti dopo il vertice a Palazzo Chigi

Dal vertice che si è concluso a tarda serata fra il premier Conte e Lakshmi e Aditya Mittal, padre e figlio, la testa del gruppo franco-indiano, arrivano segnali di distensione. Presenti anche i ministri Gualtieri e Patuanelli.


Conte, dopo il tavolo, ha parlato di un’azienda «disponibile a nuovo piano industriale» e ha aperto a un possibile coinvolgimento pubblico. Anche se ha chiarito che non c’è ancora un accordo. Il premier ha prospettato anche «nuove soluzioni produttive con tecnologie ecologiche e massimo impegno nel risanamento ambientale»


I prossimi vertici

In sostanza tutto rimandato alla serie di incontri e contatti da portare avanti nel weekend, per dare lunedì mattina un segnale anche ai mercati, ma il negoziato sembra essersi aperto. Centrali restano ancora i temi dello scudo penale e dei 5mila esuberi. Il premier Conte, soprattutto su quest’ultimo punto, conterebbe su un ammorbidimento delle posizioni della azienda franco-indiana. Sulle tutele legali, invece, gli avvocati dell’azienda hanno già annotato di non ritenerle decisive.

Un passo in avanti rispetto al muro contro muro che va avanti dal 4 novembre e che ha visto il governo, soprattutto sul fronte pentastellato, propenso in un primo tempo a lasciare la questione nelle mani della magistratura. Lo stesso premier, prima del vertice di ieri, 22 novembre, aveva posto un aut aut all’azienda: «O garantite la possibilità di rispettare gli impegni contrattuali o reagiremo adeguatamente alla battaglia giudiziaria che voi avete voluto».

Ma dopo il vertice l’apertura è arrivata anche nero su bianco nella nota diffusa da Palazzo Chigi: «L’obiettivo – si legge – è giungere presto a un accordo e a questo fine il governo inviterà i commissari dell’Ilva ad acconsentire a una breve dilazione dei termini processuali e a un rinvio dell’udienza fissata per il prossimo 27 novembre dinanzi al Tribunale di Milano, alla sola condizione che ArcelorMittal assicuri di mantenere il normale funzionamento degli impianti e garantisca la continuità produttiva anche durante la fase negoziale».

Il problema dell’altoforno 2

Altro nodo da sciogliere, appunto, è quello della produttività. Per l’esecutivo sarebbe inaccettabile arrestare l’attività produttiva dell’altoforno 2: sull’impianto rimane la spada di Damocle del giudizio del Tribunale di Taranto che ha previsto lo spegnimento entro il 13 dicembre, perché gestito, secondo i giudici, «minimizzandone i rischi». Azienda e governo su questo punto potrebbero fare fronte comune. ArcelorMittal, forse anche per questo, era arrivata al vertice con Conte con un «atteggiamento fiducioso e aperto», a cui aveva fatto eco un medesimo atteggiamento di fiducia in una possibile soluzione da parte del premier.

Gli esuberi e gli investimenti pubblici

Ma saranno queste le ore in cui si tesseranno le trame per la quadratura del cerchio. Resta comunque il tema occupazionale lo scoglio principale da superare. Ci sta lavorando è il ministro dello sviluppo economico Patuanelli e una soluzione pare essere quella di un dimezzamento degli esuberi, magari a fronte di una reintroduzione dello scudo penale (la strada maestra è ancora quella di un provvedimento di ordine generale, cioè non ad hoc per Taranto).

Il governo sarebbe disposto a partecipare anche attraverso un investimento pubblico, probabilmente di Cassa depositi e prestiti, per evitare la bomba sociale legata alla perdita dei posti di lavoro e alla questione dell’impatto ambientale dello stabilimento. Nella partita, ha rivelato il quotidiano Il Messaggero, giocherebbe un ruolo Banca Intesa Sanpaolo, che è azionista al 5,6% di AmInvestco, l’azienda attraverso cui Mittal ha conquistato l’ex Ilva.

Si tratterebbe di due azioni parallele da parte dell’esecutivo. Da una parte un piano di rilancio del territorio attraverso un intervento combinato di pubblico e privato per trovare possibilità occupazionali sostenibili. L’esecutivo avrebbe preso contatti con Intesa, che è il principale creditore dell’amministrazione straordinaria: sul piatto un milione di euro di investimenti.

Il piano per la riconversione ambientale

Parallelamente il governo lavora appunto a un piano di riconversione ambientale che mira ad assorbire una parte degli esuberi (a gestione del comune di Taranto, ma, come detto con “l’aiuto” di Cassa depositi e prestiti), anche attraverso l’avvio del progetto (del 2015, ma ancora fermo) della costruzione di un’area urbana residenziale nel quartiere Tamburi da destinare agli abitanti dopo la demolizione delle abitazioni considerate inquinate e inagibili.

Nel progetto rientrerebbe anche la riconversione dell’altoforno 1 con l’uso del preridotto: cioè si utilizzerebbe un semiprodotto di ferro da scaldare e fondere attraverso l’introduzione di un nuovo impianto, che sostituirebbe l’altoforno, e di una serie di altri interventi tecnologi mirati a ridurre l’impatto ambientale. Per questo progetto, però, il nodo principale riguarda i tempi della conversione.

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