Fondazione Open, Renzi in aula all’apertura del processo: «Ho visto i pm violare la legge»

Udienza preliminare a Firenze, il senatore risponde di finanziamento illecito insieme a Boschi, Lotti, Bianchi e Carrai

Ha scelto di partecipare alla prima udienza del processo sul presunto uso della Fondazione Open come cassaforte del suo movimento politico e, appena uscito dall’aula di un avvio di processo piuttosto routinario, il senatore Matteo Renzi non le manda a dire: «Secondo la Corte di Cassazione il processo Open si dimostra per quello che è, cioè uno scandalo assoluto. La Cassazione, non le difese, ha spiegato con chiarezza per cinque volte che l’operato dei magistrati di Firenze ha infranto le regole». Dichiara subito. «Nonostante questo siamo qua», ha aggiunto «per anni saremo in questo processo. Renzi è tra gli 11 imputati per cui la procura ha chiesto il rinvio a giudizio». E ancora: «Io ho visto i pm di Firenze violare la Costituzione, violare la legge. Mi auguro che non abbiano violato la Cassazione inviando il materiale su Carrai al Copasir, perché sarebbe l’ennesimo sfregio alle istituzioni e al diritto. Andiamo avanti con il sorriso. Vogliamo giustizia e la otterremo chiedendo di aprire un procedimento nei confronti dei pm di Firenze» a Genova. «Quindi, avanti a testa alta». A inizio udienza, Renzi era entrato direttamente nell’aula senza rilasciare dichiarazioni ma avvisando di volerlo fare dopo.


Gli altri indagati

A processo, oltre a Matteo Renzi, ci sono Maria Elena Boschi e Luca Lotti, l’ex presidente di Open e avvocato Alberto Bianchi, insieme all’imprenditore Marco Carrai. La battaglia tra accusa e difesa è stata molto viva fin dall’inizio e spesso la procura di Firenze è stata smentita dal Palazzaccio. L’ultima volta il 18 febbraio scorso quando la Cassazione ha annullato in via definitiva, dopo essersi già pronunciata altre due volte, i sequestri di documenti e pc dell’imprenditore. Per i supremi giudici la fondazione Open non è un’articolazione di partito, secondo la procura invece è stata una cassaforte da cui, tra il 2014 e il 2018 sono passati 3,5 milioni di euro, in violazione delle norme sul finanziamento ai partiti.

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