Ciro Di Maio, il pizzaiolo che insegna la sua arte ai detenuti: «Delinquenti per ignoranza, non per cattiveria»

Un progetto iniziato nel 2019 in collaborazione con il carcere di Brescia, che l’istituto vorrebbe estendere ad altri imprenditori per dare opportunità di lavoro ai detenuti

«Ho appena finito di fare il corso di pizzaiolo ai disoccupati». Risponde dalla sua pizzeria – la San Ciro di Brescia – Ciro Di Maio, e si racconta con il sorriso di chi sa che sarà una giornata lunga, «ma piena di soddisfazioni». Quello ai disoccupati non è l’unico corso tenuto dal 33enne di Frattamaggiore emigrato a Brescia nel 2015, che due volte a settimana porta l’arte della pizza nel carcere della città lombarda. Al Canton Mombello – così si chiama l’istituto penitenziario bresciano – tutti aspettano con pazienza il suo arrivo. «Ci sono ragazzi giovani e uomini avanti con l’età, tutti volenterosi di imparare a fare una buona pizza. È bello perché per queste persone assaggiare una pizza fatta da loro è un momento veramente speciale. Mi dà un senso di gratificazione incredibile», aggiunge Ciro. Lui, dopo anni passati davanti al forno da dipendente, è riuscito a rilevare il locale e ad aprirlo a progetti di volontariato, ma la sua storia non parte da lì.


Il passato burrascoso del padre e il volontariato da giovane

«Quando avevo 14 anni – racconta – andavo con mio padre a lavorare ad aiutare alla mensa delle suore di Madre Teresa di Calcutta». Il padre di Ciro aveva avuto problemi con la legge. «Un passato burrascoso» che era riuscito a lasciarsi alle spalle aiutando gli altri. «Teneva molto ai giovani che non avevano opportunità. Cercava di non farli finire sulla cattiva strada», racconta Ciro. «Ha costruito una cappella, convinceva i ragazzi a non spacciare, li portava in comunità». Appena ne ha avuto la possibilità, Ciro ha seguito le orme del padre. «All’inizio era difficile, perché non avevo disponibilità economica, ma da quando ce l’ho cerco di dare opportunità a chi non ne ha avute», racconta davanti ai forni a legna accesi. «Io ho amici e parenti che sono in carcere, e so perfettamente che in certi casi si finisce dentro solo per problemi familiari a difficoltà esterne che ti fanno fare cose che altrimenti non faresti».


«Non hanno quasi nulla, ma quel poco che hanno te lo danno»

«La prima volta che sono entrato al Canton Mombello è stato un impatto. Le sbarre, tutti chiusi nelle proprie celle». Un ambiente che tende a dividere, ma dove Ciro ha percepito un forte senso di comunità: «Non hanno quasi nulla, ma quel poco che hanno te lo danno. Dopo una lezione ero stanchissimo, volevo solo fumarmi una sigaretta ma non me le avevano lasciate portare dentro. Uno dei ragazzi ne aveva una sola, e senza esitare me l’ha data». «Tanti di loro sono bravi ragazzi che hanno solo fatto una stronzata», dice sorridendo. «In certe condizione è facile finire a frequentare le persone sbagliate che ti introducono alla criminalità». Invece, c’è chi, come Ciro, introduce individui vissuti in contesti svantaggiati a un’arte che potrebbe, una volta fuori dal carcere, diventare il loro lavoro. «Sono realista, e so che è difficile reinventarsi. Ma spero che anche solo uno di loro possa diventare pizzaiolo», aggiunge.

«Il carcere dev’essere riabilitazione»

E ancora: «È bello vedere la faccia di quei ragazzi con il sorriso. Il carcere deve essere riabilitazione. Non dobbiamo chiudere la gente in cella come un cane incattivito. È facile giudicare, ma tutti noi dobbiamo fare qualcosa. A volte, emotivamente non è facile, ma la strada della delinquenza è presa per ignoranza, non per cattiveria. E questo dobbiamo ricordarcelo sempre», aggiunge. Ciro assicura che anche senza il forno a legna, le pizze vengono molto buone: «Il carcere di Brescia è molto attrezzato». E assicura di non avere preferenze per i napoletani: «Ci sono senegalesi albanesi, c’è un ragazzo di Genova, un bresciano, sono tutti bravi». Talenti che Ciro ha scoperto già nel 2019, quando il era iniziato il progetto, poi interrotto durante la pandemia e ripreso a febbraio 2023. L’obiettivo del carcere, è quello di estendere l’iniziativa a quanti più pizzaioli possibile. Ma non solo: «Non resta che sperare che l’entusiasmo di Ciro contagi anche altri imprenditori che, come lui, sappiano credere nelle seconde possibilità», commenta la direttrice della casa circondariale, Francesca Paola Lucrezi.

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