«La mamma mi vuole bene ma…»: la storia di Enea, il bimbo ritrovato nella Culla della Vita del Policlinico di Milano

Era avvolto in una copertina verde. L’appello alla madre: «Speriamo che ci ripensi». I precedenti: Mario e Giovanni

«Ciao, mi chiamo Enea. La mamma mi vuole bene ma non mi può seguire». Comincia così la lettera che accompagna il bimbo che il mattino di Pasqua il personale del Policlinico di Milano ha trovato nella Culla per la Vita. L’allarme si è attivato alle 11.40 circa. Il piccolo pesa circa 2,6 chili, è di etnia caucasica ed è in buona salute. Si tratta del terzo bimbo che viene affidato alla Culla per la Vita da quando è stata attivata nel 2007. La missiva ritrovata vicino al bambino è scritta come se a parlare fosse lui ma è firmata “mamma”. La donna dice di volergli molto bene e chiede di coccolarlo. Ma aggiunge di non potersi occupare di lui. Il direttore generale del Policlinico Ezio Belleri ha ricordato che in ospedale si può comunque partorire in anonimato. Per la sicurezza della mamma e del bambino.


Avvolto in una copertina verde

«Sono nato in ospedale perché la mia mamma voleva essere sicura che era tutto ok e stare insieme il più possibile», si scrive. E ancora: il bambino «è super sano, tutti gli esami fatti in ospedale sono ok». Enea, capelli scuri, ben curato, è nato da circa una settimana. Il nome è quello che ha scritto la mamma nella lettera lasciata accanto a lui. Poche frasi, scritte in italiano. In Mangiagalli è ora coccolato dal personale. Fabio Mosca, direttore della Neonatologia e della Terapia intensiva neonatale del Policlinico di Milano, racconta all’AdnKronos il ritrovamento: «Quando l’allarme è scattato, l’équipe della Terapia intensiva neonatale della clinica Mangiagalli di Milano di guardia oggi è accorsa: con due dottoresse e le infermiere siamo andati giù, abbiamo preso il bimbo, lo abbiamo visitato e stava bene. Lo abbiamo portato su in reparto. Era avvolto in una copertina verde. Adesso è diventato un nostro bambino, nostro figlio. La mia speranza, però, è ancora che la sua mamma ci ripensi. Io vorrei che le arrivasse questo mio messaggio».


La speranza di un ripensamento

«Per quanto possibile cerchiamo di vicariare l’attenzione materna», dice Mosca. Il fatto che sia stato lasciato nel giorno di Pasqua, «rende la cosa ancora più toccante». Il dottore non perde la speranza di un ripensamento: «Vorrei che questa mamma mi ascoltasse, può ancora riprendersi il suo bambino, voglio che sappia che noi possiamo aiutarla a farglielo crescere e che nulla è perduto. Io desidero parlare a questa mamma e dire che siamo pronti a starle accanto, di mettersi in contatto con me e con l’ospedale», è l’appello. La Culla per la Vita del Policlinico di Milano è attiva da 16 anni. Quello di Enea è il terzo caso registrato. I primi due sono avvenuti nel 2012 e nel 2016. Due bimbi maschi che sono stati chiamati rispettivamente Mario e Giovanni. La Culla è un ambiente protetto e riscaldato. È strutturata in modo da avvisare immediatamente il personale sanitario. Una volta che il bimbo viene accolto al suo interno, un allarme discreto avvisa medici e infermieri della Neonatologia che possono prendersi cura del piccolo entro pochissimi minuti.

Mario e Giovanni

Il primo bebè salvato con questo sistema è stato Mario. Era un giorno di inizio luglio 2012. Il piccolo era leggerissimo, nato prematuro (i medici stimavano alla 35esima settimana) pesava appena 1,7 chili e aveva un’età apparente di 6-7 giorni. Vicino al bebè era stato lasciato un biberon con del latte materno e un paio di tutine. Giovanni aveva invece già due mesi quando è stato lasciato nella culla per la vita del Policlinico l’1 febbraio 2016. La sua data di nascita (un giorno di novembre) era nota perché insieme al bambino c’era un cartellino che riportava questa informazione e aggiornamenti sui vaccini. Il piccolo era ben accudito, hanno raccontato i medici. Era pulito e ben vestito, pesava 5,8 kg. Capelli scuri, pelle olivastra, non sembrava di origini italiane.

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