L’inquinamento da plastica e il falso mito del riciclo: «Costoso, complesso e pure tossico. Ecco perché non è la soluzione»

Mentre aziende e Paesi produttori spingono su migliori processi di smaltimento, esperti e associazioni suggeriscono un’altra strada: «Serve un limite alla produzione di plastica nel mondo», dice Greenpeace

Ogni anno nel mondo si producono oltre 400 milioni di tonnellate di plastica. Di queste, circa 20 milioni di tonnellate finiscono in mare. Il dato è stato calcolato dall’Unep, il programma Onu per l’ambiente, ed è contenuto in un report dal titolo piuttosto eloquente: Drowning in plastics, annegare nella plastica. Finora le soluzioni si sono concentrate soprattutto su un aspetto: il riciclo. Eppure, è da anni che associazioni ambientaliste ed esperti del settore fanno notare che quello della plastica non è un semplice problema di rifiuti. «Quando parliamo di plastica, il riciclo è un processo con tanti problemi, che ci allontana da una vera economia circolare», spiega a Open Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia. Secondo lui, la questione dell’inquinamento da plastica non va vista come un semplice problema di smaltimento. Piuttosto, ci si dovrebbe concentrare sui rischi di contaminazione che riguardano sia l’ambiente sia i nostri corpi.


L’inquinamento da plastica è stato scelto come tema centrale della Giornata mondiale dell’ambiente 2023, ospitata da Costa d’Avorio e Paesi Bassi e presentata con lo slogan Beat plastic pollution. Mentre in tutto il mondo si organizzano eventi e conferenze, la scorsa settimana a Parigi si sono svolti cinque lunghi giorni di negoziati coordinati dall’Onu. Le trattative hanno coinvolto 175 Paesi, che alla fine hanno raggiunto un accordo per stilare la prima bozza del trattato internazionale contro l’inquinamento da plastica entro novembre di quest’anno. Il documento dovrà essere «giuridicamente vincolante» e l’obiettivo è di arrivare a un testo definitivo entro il 2024. A scontrarsi sono essenzialmente due blocchi: da un lato, aziende e Paesi produttori che vogliono risolvere il problema investendo su un migliore smaltimento della plastica. Dall’altro, chi denuncia che il solo riciclo non può risolvere il problema e chiede azioni più incisive, come l’imposizione di un tetto alla produzione mondiale di plastica.


Tutti i problemi del riciclo della plastica

I motivi per cui si ricicla così poca plastica sono diversi. Innanzitutto, non sempre è possibile farlo. È il caso di tutti quei prodotti composti da strati di materiali diversi tra loro – i cosiddetti poliaccoppiati – che spesso sono difficili da separare in fase di riciclo. Un altro problema è che la plastica, a differenza di altri materiali, è un esempio di downcycling. In altre parole, ogni volta che viene riciclata diventa sempre più debole e meno pregiata, riducendo il suo valore e la sua longevità. Uno degli esempi più lampanti riguarda le bottiglie di plastica: «Nel 2019, in Italia, solo il 5% della plastica utilizzata per produrre bottiglie è stata riusata per lo stesso scopo. Nel restante 95% dei casi è finita in prodotti di minor qualità», spiega Ungherese. A questo si aggiunge poi la questione economica: il riciclo della plastica richiede infatti processi complessi e molto costosi. Il risultato? Nel 2019, con il prezzo del petrolio molto basso, il costo della plastica riciclata ha superato per la prima volta quello della plastica vergine.

Come se non bastasse, un nuovo rapporto diffuso da Greenpeace Usa nelle scorse settimane ha sollevato un nuovo allarme: riciclare la plastica contribuirebbe a renderla ancora più tossica. I danni potenziali per l’uomo, gli animali e l’ambiente sono noti da tempo. Lo scorso anno, per esempio, uno studio dell’Università di Amsterdam aveva certificato per la prima volta la presenza di microplastiche nel sangue umano. Secondo il report di Greenpeace, «mentre la plastica vergine contiene elementi chimici sconosciuti e non studiati, le ricerche dimostrano che quella riciclata spesso contiene livelli più alti di contaminanti», che possono essere ricondotti a un aumento di tumori, problemi cardiovascolari e altre malattie.

Le soluzioni alternative

Nonostante allarmi e preoccupazioni, la situazione sembra destinata pure a peggiorare: l’Onu stima che i rifiuti di plastica in mare raddoppieranno entro il 2030 e triplicheranno entro il 2040. Ed è per questo che c’è chi crede che la vera soluzione non passi (solo) dal riciclo ma anche – o forse soprattutto – da una riduzione della plastica messa in circolazione. «La scusa dell’economia circolare viene spesso usata per far sì che le cose restino come sono – denuncia Ungherese –. Ciò che servirebbe davvero è un limite alla produzione di plastica nel mondo, che vada a decrescere di anno in anno». Per sostituire la plastica, negli ultimi anni è scattata una corsa ai materiali alternativi: vetro, carta, plastiche biodegradabili e via dicendo. Anche questa, però, potrebbe non essere la strada più indicata per risolvere il problema. «La soluzione non va cercata in un materiale più eco-friendly della plastica. Bisogna far propria i princìpi dell’economia circolare e far durare più a lungo le materie prime», suggerisce Ungherese.

Ed è in questa direzione che sembra muoversi anche l’Unione europea. Con la Direttiva Sup, Bruxelles ha compiuto il primo passo verso la disincentivazione della plastica monouso. E ora, con la proposta sul cosiddetto «Regolamento imballaggi», cerca di ottenere un effetto simile. La bozza del documento vieterebbe per esempio le confezioni monouso di frutta e verdura di peso inferiore a 1,5 kg, favorendo invece la vendita sfusa di prodotti. «La vera stortura sta nella mentalità “usa-e-getta” – aggiunge il responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace –. Quello proposto da Bruxelles è un cambiamento davvero alla nostra portata: fino a 50 anni fa, il vuoto a rendere e il riutilizzo erano la prassi».

L’impatto sul clima e il ruolo dell’Italia

A osteggiare le soluzioni più radicali per l’abbandono della plastica sono soprattutto le aziende dei combustibili fossili e i Paesi produttori. Ad oggi, infatti, la quasi totalità della plastica vergine viene realizzata a partire da petrolio e gas naturale, con il relativo impatto non solo sull’ambiente ma anche sul clima. «Quello della plastica non va visto come un semplice problema di rifiuti. Se valutiamo le emissioni del suo intero ciclo di vita, la plastica sarebbe il quinto Stato al mondo per emissioni di Co2», precisa Ungherese. Una situazione che chiama in causa direttamente anche l’Italia. Il nostro Paese è uno dei leader mondiali nella produzione di bioplastiche, ossia di quei materiali biodegradabili e prodotti a partire da fonti non fossili. Allo stesso tempo, avverte l’ultimo rapporto del think tank Ecco, l’Italia è seconda in Europa per consumo di plastica: 5,9 milioni di tonnellate nel 2020. Non solo: il nostro Paese è al secondo posto (dopo l’Egitto) anche per la dispersione di plastica nel Mediterraneo: 34mila tonnellate sversate in mare ogni anno, secondo le stime del report Mare Plasticum.

Credits foto di copertina: UNSPLASH/Naja Bertolt Jensen

Elaborazione grafica di Vincenzo Monaco

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