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Altro che intelligenza artificiale, nella sentenza spunta il copia-incolla che annulla tutto: lo scivolone su un caso di usura

A un certo punto nelle motivazioni della condanna per quattro usurai spunta il nome di un certo Alì, che aveva derubato una donna del cellulare su un tram. La Cassazione rimanda le carte alla corte d'Appello di Asti

La Cassazione ha annullato una sentenza della corte D’Appello di Asti dopo la scoperta di un caso di «copia e incolla» che aveva trasformato quella condanna per usura in una per furto. Mentre dagli Stati Uniti arrivano i primi casi sanzionati di legali che fanno ricorso all’intelligenza artificiale per redigere i loro documenti nei processi, in Italia spunta un caso da archeologia tecnologica. Nelle motivazioni del gup di Asti a carico di quattro persone condannate per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’usura, a pagina 14 si leggeva come l’appello fosse infondato in merito a un tale Alì, che doveva rispondere per il furto di un telefonino ai danni di una donna sul tram. Per le successive due pagine, il provvedimento appariva praticamente incomprensibile, scrive il Corriere della Sera, per poi tornare alla terza su caso in questione e la parziale riforma della decisione di primo grado a proposito degli imputati per usura.

Ad accorgersi della “gaffe” dei magistrati è stato il legale che assisteva gli imputati, che ha portato il caso in Cassazione con successivo annullamento della sentenza e la «restituzione degli atti alla corte d’Appello, nella medesima composizione, per la nuova redazione della sentenza». Insomma tutto da rifare, visto che lo stesso avvocato spiega quanto fosse ovvio «che la motivazione della sentenza avversata si riferisce a un altro procedimento». Secondo il legale: «Si è trattato, probabilmente di un errore del redattore della sentenza, nell’uso dello strumento del cosiddetto copia-incolla».

L’accusa nei confronti dei quattro imputati era anche abbastanza seria, trattandosi di una banda accusata di aver offerto servizi di consulenza finanziaria e prestiti, senza alcuna abilitazione, con provvigioni e interessi che arrivavano «fino al 60% del capitale finanziato». In primo grado i quattro erano stati condannati per aver truffato oltre venti persone tra Bra e Carmagnola, tra il settembre 2018 e il 2019.

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