Corsa contro il tempo per bloccare la Bolkenstien, Federbalneari: «L’Italia può essere esclusa dalla direttiva, ma al governo chiediamo di farci pagare di più le concessioni» – L’intervista

Maurelli, presidente dell’associazione di categoria, è ottimista sul risultato che presto arriverà dalla mappatura: «Ma è vero che lo Stato incassa troppo poco»

La terza convocazione del tavolo interministeriale che coinvolge gli attori del mondo balneare è prevista per il 25 luglio. La riforma delle concessioni è il fulcro di questo organo insediato a Palazzo Chigi: l’ultimo decreto Milleproroghe ha posticipato la scadenza al 31 dicembre 2024, ma onde evitare altre sanzioni derivanti dalla mancata applicazione della direttiva Bolkenstein, occorre far presto e procedere con un riordino del demanio marittimo. D’altronde, la Commissione europea pressa l’Italia e ha già fatto trapelare la sua insoddisfazione per la proroga decisa dal governo Meloni, ritenuta peraltro illegittima dal Consiglio di Stato. In questo scenario, il Consiglio dei ministri del 17 luglio ha dato il via libera al finanziamento del database, il Siconbep, il Sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici. Concepito già nella legge sulla concorrenza del governo Draghi, lo strumento ha contato su un milione di euro di risorse pubbliche, nel 2022, e di due milioni dal 2023 in avanti. Sarà alimentato dalle segnalazioni che arriveranno da Comuni e Regioni riguardo a tutte le concessioni di beni pubblici, compreso il demanio marittimo: al suo interno, informazioni su natura del bene, valore dei canoni, modalità di rilascio del titolo, gestione del titolo, data di rilascio del titolo concessorio e durata.


Dettagli prettamente economici, che saranno gestiti dal ministero dell’Economia, con il supporto degli Affari regionali. Serviva aspettare questo database per arrivare alla mappatura delle spiagge italiane? «No, una mappatura ragionata si poteva fare ampliando il Sid, ovvero il Sistema informativo del demanio marittimo che fa capo al ministero delle Infrastrutture, ma così ha deciso il legislatore», afferma a Open Marco Maurelli, presidente di Federbalneari. Attualmente, il Sid ha una vocazione più “catastale” che mirata al valore economico e alla gestione del bene. Il lavoro del tavolo interministeriale proseguirà comunque basandosi sulle disposizione dell’articolo 10-quater del Milleproroghe, che affida all’organo il compito di definire i criteri tecnici per la determinazione della scarsità della risorsa naturale disponibile. E, dai primi dati emersi dal Sid, pare che le aree demaniali marittime, lacuali e fluviali libere superino ampiamente il 50% del totale. «Se queste evidenze saranno confermate, cadrà l’obbligo di riassegnazione delle aree previsto dalla direttiva Bolkenstein».


Maurelli, che succede adesso?

«Incontreremo i ministeri competenti il prossimo 25 luglio. Avremo ancora più elementi per determinare quelli che oggi sono dati grezzi, ma abbastanza espliciti: i beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali non sarebbero in condizione di scarsità e, dunque, l’Italia non sarebbe più obbligata ad applicare la direttiva Bolkenstein, che prevede il regime di concorrenza pubblica solo nel caso in cui i beni pubblici siano limitati».

Questo ottimismo è dovuto al fatto che nelle rilevazioni sono considerate anche le sponde di laghi e fiumi, ampliando così il computo totale di chilometri di costa a disposizione?

«Le risultanze del secondo incontro del tavolo, che si basano sui dati del Sid, riguardano solo il demanio marittimo, non quello idrico. Aspettiamo gli ulteriori dati che porteranno le Regioni. Stiamo parlando di 70 mila chilometri, conteggiando laghi e fiumi. Noi abbiamo chiesto di togliere dal calcolo esclusivamente le aree militari, i porti commerciali, le concessioni appannaggio delle centrali elettriche. Insomma, tutte le aree strategiche, come quelle concesse a Enel».

Quali sono i prossimi passaggi atti a raggiungere un punto definitivo sulla questione delle concessioni balneari?

«Stiamo individuando i criteri di mappatura e sussistenza della risorsa. Dopodiché, il governo li utilizzerà per svolgere il negoziato con la commissione Europea. Se è vero ciò che sta emergendo, andremo verso l’esclusione dalla direttiva Bolkenstein, poiché la risorsa marittima demaniale, in Italia, risulta già ampiamente disponibile per il mercato».

In molti, invece, denunciano la mancanza di concorrenza nel settore.

«Il mercato è apertissimo, c’è possibilità per tutti. Quello rivolto alla categoria è un attacco strumentale e ideologico: già oggi ci sono aree disponibili certificate dal Sid. Comunque, è da 20 anni che aspettiamo i dati di una mappatura, quando sarà pronta sarà la prima volta nella storia italiana: aspettiamo ancora un po’ e congratuliamoci con i tecnici per il lavoro che stanno svolgendo».

Rischiano di accavallarsi i database del Sid e quello del Siconbep?

«No, sono due sistemi correlati. Di fatto, il Siconbep comprende qualsiasi bene demaniale, anche il Colosseo, ma per quanto riguarda il demanio marittimo attinge ai dati del Sid, integrandoli con quelle definizioni di natura economica che nella piattaforma del ministero delle Infrastrutture non ci sono. Il tavolo interministeriale, poi, individuerà i criteri per la mappatura e la sussistenza di un’eventuale scarsità di risorsa».

Si definiva ottimista per una possibile inapplicabilità della Bolkenstein, perché?

«Perché si applica solo se c’è scarsità. E secondo le prime evidenze, molto più della metà delle risorse balneari è ancora disponibile. Io non sono titolato a comunicare il dato definitivo, anche perché è ancora grezzo, ma pare che ci sia ampissima opportunità per la concorrenza in Italia, e questo escluderebbe il settore balneare dalla direttiva Bolkenstein».

Qual è il vantaggio, per voi, nel non applicare la direttiva?

«Significa continuare ad applicare i principi dell’ordinamento italiano nella concessione delle spiagge, che sono meno stringenti rispetto ai meccanismi europei. In Italia, si opera già in regime competitivo: è scritto nel codice della navigazione, dal 1942. Ciò che cambierebbe sarebbe la modalità della competitività. Allo stato dell’arte attuale, le nuove concessioni hanno una durata media di 6 anni, ma possono arrivare fino a 20».

Spieghi meglio.

«La legge recita che le nuove concessioni, quelle per cui nessuno ha il titolo in giacenza, vengano assegnate in concorrenza perfetta: si bandisce un’evidenza pubblica e le aree vengono assegnate. In ragione degli investimenti, possono essere date da un minimo di 6 anni a un massimo di 20. Per quanto riguarda le aree demaniali in vigenza di titolo, la maggior parte ha scadenza nel 2024».

Si va verso l’assegnazione di nuove aree e la creazione di nuovi lidi, visto la presunta non scarsità di risorsa, anziché la riassegnazione delle spiagge già occupate?

«Sì».

Siete preoccupati dal possibile ingresso di nuove imprese nel settore?

«No, i mercati è sempre bene che siano aperti, come tra l’altro avviene già oggi per gli stabilimenti balneari. Ben vengano le nuove concessioni, che si traducono in nuova concorrenza e in un insieme di attività economiche che nascono in aree disponibili non ancora sviluppatesi. I privati che operano nel settore balneare svolgono un ruolo fondamentale di salvataggio dei bagnanti, pulizia delle spiagge, prevenzione sanitaria e acceleratore di turismo: non va dimenticato. Il mare, e ce ne siamo accorti con il Covid, ha il potere di attivare tutta la filiera turistica. Ed è stato rilevato che, nelle zone dove sono carenti spiagge attrezzate, gli alberghi, i ristoranti e le altre attività della filiera ne risentono. Senza stabilimento, non c’è albergo, senza albergo, non c’è turismo».

Gli attuali titolari delle concessioni continueranno a pagare canoni così irrisori?

«Guardi, da questo punto di vista siamo i primi, come Federbalneari, a chiedere una riforma dei canoni. Non è sostenibile per lo Stato incassare solo 3.300 euro da uno stabilimento e in totale 100 milioni annui. Non si può non procedere a una revisione dei canoni concessori. Pensiamo a un gettito almeno quadruplicato. Ma non è l’unica cosa sulla quale chiediamo al governo di intervenire».

Cos’altro?

«Bisogna abbassare l’Iva. Oggi è al 22% per gli stabilimenti. Siamo l’unico sistema balneare in Europa ad avere un’Iva così alta. La media europea è fissata al 5,5% per il comparto. Questa imposta ricade sulle famiglie, chiediamo al governo di portare l’Iva per gli stabilimenti al 10%, la stessa soglia prevista per il comparto turistico in Italia».

Non mi dirà che il costo di lettini e ombrelloni, che ha raggiunto un record in questa stagione, è dovuto all’Iva.

«Federbalneari fa un monitoraggio, ogni anno, sui costi di lettini e ombrelloni. Questa estate l’aumento medio è stato di circa il 10%. Non commento i casi in cui le tariffe sono cresciute del 70, 80%, non fanno testo a livello statistico. Ma c’è una ragione per cui i prezzi per gli utenti sono aumentati e non c’entra nulla l’Iva. Piuttosto, le aziende che operano nel settore balneare si muovono con almeno sei mesi di anticipo per acquistare i prodotti necessari all’avvio della stagione. Con l’aumento del carburante, il costo delle materie prime, dei servizi e dei prodotti necessari, c’è stato un imbarazzante aumento dei costi generale. Si è lavorato all’apertura della stagione quando l’inflazione era ancora galoppante: anzi, mi ritengo contento del fatto che siamo riusciti a contenere l’aumento medio di lettini e ombrelloni al 10%».

La mappatura, per essere finalizzata, richiederà ancora del tempo. Ma il 27 luglio i Comuni possono far ripartire le gare.

«Siamo irremovibili su questo: non è possibile che mentre lo Stato sta affrontando la materia delle concessioni con due leggi – Concorrenza e Milleproroghe – si proceda senza decreti attuativi a fare bandi per nuove concessioni o per quelle in scadenza. Bisogna attendere la legge complessiva, come previsto tra l’altro dal governo Draghi: al concessionario uscente dal settore balneare dovrà avere essere erogato un indennizzo e il corrispettivo di un valore aziendale di impresa. Questo perché l’imprenditore che ha gestito il tratto di costa lascia allo Stato un bene tutelato e valorizzato. Non sono richieste che mi sto inventando adesso, ma punti fermi della legge sulla Concorrenza del governo Draghi. Dunque, la data del 27 luglio è già fuori discussione. I Comuni entro il 2023 volevano mettere a bando le concessioni, ma senza i decreti per individuare i nuovi criteri. Abbiamo chiesto e ottenuto un patto tra governo Regioni e Comuni per scrivere le regole insieme, poi individuare un percorso di negoziato con la Commissione europea e infine rinnovare o mettere a gara le nuove concessioni. Avevamo avvisato già i ministri competenti che non avrebbero fatto in tempo, entro luglio, ad attuare i decreti delegati, e avevamo ragione».

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