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Strage di Bologna, le sentenze e la presunta pista palestinese: «Ma la matrice è chiara»

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Indagini e processi sull'atto terroristico e sui depistaggi. Il ministro Piantedosi: «Nessuna verità dal passato può farci paura»

Sabato 2 agosto 1980 esplode una bomba nella stazione ferroviaria di Bologna. Nell’attentato muoiono 85 persone. Duecento i feriti. La strage di Bologna è uno dei più gravi atti di terrorismo degli anni di piombo. Ma anche l’inizio di 40 anni di inchieste, depistaggi e misteri. Alla fine di giugno Paolo Bellini, condannato all’ergastolo in primo grado come uno degli autori materiali, è finito in galera. Le sentenze di questi anni hanno delineato una chiara verità giudiziaria con responsabilità ben precise. Ma c’è chi ai giudici non crede. E delinea invece una “pista internazionale” o “palestinese” dietro l’attentato. Intanto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi è chiarissimo: «La matrice della strage è chiarissima. Le sentenze hanno individuato complicità, anche se restano zone d’ombra. Nessuna verità dal passato può farci paura».

Il primo processo, l’appello, la Cassazione

Il Fatto Quotidiano oggi riepiloga indagini, processi e sentenze. Il primo processo, che si svolge dal 1987 al 1995, condanna in primo grado all’ergastolo Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Massimiliano Fachini e Sergio Picciafuoco. Per banda armata sono condannati anche Gilberto Cavallini, Egidio Giuliani, Roberto Rinani e Paolo Signorelli. In appello cade l’accusa di strage e vengono confermate solo le condanne per banda armata. La Cassazione cancella quel verdetto nel febbraio del 1992. Perché la sentenza è «illogica» e priva di fondamento. Tanto che «in alcune parti i giudici hanno sostenuto tesi inverosimili che nemmeno la difesa aveva sostenuto». Il secondo appello termina nel 1994. Stavolta la condanna all’ergastolo per strage arriva per Mambro, Fioravanti e Picciafuoco mentre Fachini viene assolto. Confermate anche le condanne per banda armata anche a Cavallini e Giuliani. Nel 1995 la Cassazione conferma le condanne per tutti tranne che per Picciafuoco.

Il secondo, il terzo, il quarto processo

Il secondo processo si svolge tra 1997 e 2007. Luigi Ciavardini riceve una condanna a 30 anni di reclusione dopo due appelli: era minorenne all’epoca dei fatti. Nel 2017 Gilberto Cavallini riceve in primo grado una condanna all’ergastolo. Il quarto vede imputato Paolo Bellini. Che è condannato come esecutore ma nel giudizio emergono i suoi legami con Cosa Nostra e la sua attività di informatore dei carabinieri. Bellini non è un ex Nar (i Nuclei Armati Rivoluzionari di Fioravanti). Ma è esponente di Avanguardia Nazionale, il gruppo di Stefano Delle Chiaie. Il procedimento indica anche in Licio Gelli il mandante della strage. Mentre Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio Affari Riservati presso il Viminale, insieme al senatore Msi Mario Tedeschi si sarebbero occupati della gestione mediatica della strage.

La pista palestinese

La pista palestinese invece compare sin dall’inizio come indagine alternativa. Secondo questa tesi la bomba l’avrebbe messa il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina come ritorsione per l’arresto di Abu Saleh, fermato a Bologna nel 1979. A parlarne oggi tra gli altri è l’onorevole Federico Mollicone di Fratelli d’Italia. La cosiddetta pista internazionale era stata comunque oggetto di un processo, ma per depistaggio. All’epoca Gelli, insieme agli ufficiali del Sismi Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte e al consulente Francesco Pazienza ricevettero una condanna a dieci anni per aver agito «al fine di assicurare l’impunità agli autori della strage». Secondo questa tesi Saleh era stato fermato perché ritenuto responsabile del trasporto di missili Strela sequestrati a Ortona. Mollicone ha chiesto di rendere accessibili i documenti che riguardano Saleh.

La bocciatura

Ma quei documenti non esistono secondo Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime della strage. Ma soprattutto a bocciare la “pista palestinese” è il sostituto procuratore bolognese Nicola Proto. Che nella sua requisitoria al processo d’appello nei confronti di Cavallini spiega che una trattativa con i palestinesi ci fu. Ma anche che il buon esito della trattativa tolse al Fplp ogni interesse nei confronti degli atti di ritorsione. Non solo: l’interlocuzione proseguì anche dopo il 2 agosto. Cosa che «non sarebbe stata logica, così come non sarebbe stato logico indennizzare il Fplp per il valore dei lanciamissili sequestrati, se nel frattempo i palestinesi avessero commesso una strage».

Il ministro Piantedosi

Intanto il ministro degli Interni Matteo Piantedosi rilascia un’intervista al Quotidiano Nazionale. Nella quale dice chiaro e tondo che sulla strage di Bologna  «i processi giudiziari sono giunti fino alle condanne degli esecutori, delineando la matrice dell’attentato. Le sentenze hanno anche individuato complicità, ma restano ancora zone d’ombra. I risultati non esauriscono ma incoraggiano tutte le istituzioni ad andare avanti». E aggiunge: «L’Italia è una democrazia matura con istituzioni salde e una dirigenza politica di qualità. Siamo un Paese che non arretra e non arretrerà mai rispetto alle fondamentali libertà politiche e sociali conquistate con tanto sacrificio. Dobbiamo essere orgogliosi e fiduciosi delle conquiste che abbiamo ottenuto. Nessuna verità proveniente dal passato deve farci paura. Anche perché qualsiasi strumentalizzazione su fatti così lontani – non solo temporalmente ma anche politicamente distanti rispetto alla situazione odierna – non avrebbe senso. Sul tema della desecretazione, il ministero dell’Interno ha già offerto un suo importante contributo, se si considera che ha versato migliaia di atti riguardanti gli eventi stragisti che hanno funestato il Paese dalla fine degli anni ’60 agli anni ’80. Per la strage di Bologna sono state completate le operazioni di versamento agli Archivi dello Stato di più di 28mila atti»».

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