Suicidi, sottodiagnosi e stereotipi: così la salute mentale resta ancora un tabù per gli uomini

Sei persone su 10 non parlano di salute mentale neanche ad amici o familiari. La psicoterapeuta Martina Migliore a Open: «Donne e giovani della GenZ manifestano più apertura»

Il tabù di parlare apertamente della propria salute mentale continua a pesare in modo particolarmente significativo sugli uomini. Le aspettative culturali legate alla mascolinità esercitano una pressione silenziosa sugli uomini, imponendo loro di dimostrare forza, sicurezza e controllo emotivo. Un circolo vizioso di silenzio e stigmatizzazione che spesso rischia di tradursi in una minore propensione del genere maschile a chiedere aiuto per le questioni legate al benessere psicologico, con il risultato di ricevere meno diagnosi rispetto alle donne. Secondo uno studio condotto nel luglio 2023 da Bva Doxa – istituto specializzato in sondaggi d’opinione, ricerche di mercato e analisi statistiche – in collaborazione con Serenis – piattaforma digitale per il benessere mentale e un centro medico autorizzato – il 63% di chi rifiuta la psicoterapia è uomo.


Meno diagnosi, più suicidi

Una seconda ricerca condotta a febbraio 2024 su un campione di 878 persone di età compresa tra i 18 e i 54 anni provenienti da tutta Italia, evidenzia che 6 persone su 10 non parlano di salute mentale neanche ad amici o familiari. Solo il 21% dei partecipanti, invece, si apre con i propri familiari su questi temi. E gli uomini si confermano essere i più restii ad affrontare l’argomento, così come la fascia di età compresa tra i 45 e i 54 anni. C’è un ampio dibattito in corso riguardo alla reale incidenza dei disturbi della salute mentale tra gli uomini e alla possibilità che siano sotto-diagnosticati. Un dato significativo è rappresentato dal tasso di suicidi, che risulta essere nettamente più elevato negli uomini rispetto alle donne. Stando ai dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, il 78,8% dei morti per suicidio sono uomini. Così come questi ultimi sono anche i più propensi a diventare consumatori dannosi di alcol e droghe.


Le cause tra stigma e stereotipi di genere interiorizzati

«C’è una maggiore tendenza per le donne a cercare aiuto per problemi di salute mentale rispetto agli uomini,  gli stereotipi di genere interiorizzati sembrano essere l’ostacolo principale alla fruizione della psicoterapia da parte degli uomini, i quali associano l’imperturbabilità maschile alla virtù e l’emotività alla debolezza», commenta a Open Martina Migliore, psicoterapeuta specializzata in terapia cognitivo-comportamentale e direttrice Formazione e Sviluppo di Serenis. «Dietro questo stigma ci sono una serie di fattori culturali e sociali. Pesano soprattutto gli stereotipi di genere che spesso spingono gli uomini a evitare la psicoterapia per paura di essere visti come “meno uomini” o meno capaci di gestire le proprie vite. Molti vengono ancora cresciuti nel mito del problem solving a ogni costo e della pragmatica forzata, per cui le riflessioni sui propri stati emotivi e la sofferenza non sono percepite “utili”, ma solo fastidiose o segnali di inadeguatezza », spiega l’esperta.

Il problema educativo

Di conseguenza, la tendenza degli uomini a evitare il supporto psicologico non deriva esclusivamente da fattori individuali, ma è profondamente radicata da una serie complessa di dinamiche culturali e sociali. Secondo la dottoressa Migliore, alla radice di questo gap di genere vi è anche la mancanza di modelli positivi: «Se gli uomini non vedono altri uomini che affrontano apertamente le proprie sfide emotive e cercano aiuto, potrebbero sentirsi meno inclini a farlo loro stessi», chiosa. Aspetto legato anche alla mancanza di educazione e consapevolezza riguardo alla salute mentale che – precisa la terapeuta – «può far sì che gli uomini non riconoscano i segnali di malessere emotivo o non capiscano l’importanza della terapia per affrontarli».

Amici e familiari non sono (percepiti) spazio sicuro

Secondo i dati di Doxa e Serenis, solo il 15% degli uomini confida i propri problemi agli amici. Ritrosia che si manifesta anche nelle relazioni di coppia, dove è quasi sempre la donna che, nel 35% dei casi, è più aperta e incline a parlare di benessere mentale, mentre gli uomini lo fanno solo nel 26% dei casi. Il tabù attraversa anche le mura domestiche, nonostante la famiglia sia tradizionalmente considerata un luogo “sicuro” per la condivisione. «È proprio questo il bias di base», incalza la psicoterapeuta, «diamo troppo spesso per scontato che la famiglia sia il “luogo sicuro”, sia affettivamente che relazionalmente, ma in moltissimi casi non è così. In famiglia, infatti, si possono perpetuare nel tempo antichi conflitti mai risolti, percezioni di esclusione che alimentano la sensazione di poter essere fortemente giudicati o peggio esclusi nel caso in cui non si rispetti uno standard ipotizzato».

Donne e GenZ

Dalle statistiche emerge come siano le donne e i giovani della Generazione Z a manifestare maggior apertura nell’affrontare i problemi legati al benessere mentale. «La GenZ è sempre più richiedente, giustamente, di nuovi standard emotivi che rispettino l’individuo nella sua interezza, comprese le sue difficoltà, e le donne per cultura precedente sono sempre più disponibili a questo tipo di apertura. La vera sfida – conclude la terapeuta – sarà quella di smettere di fare una distinzione tra sessi, in termini di fragilità, emozioni e sofferenza».

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