Torna il bonus psicologo, ma chi ne ha davvero bisogno rimane fuori. Così la cura della salute mentale resta un lusso – L’inchiesta

Nel servizio pubblico un percorso di tipo psicologico è «pressoché impossibile» e a pagarne le spese sono i giovani, i disoccupati e le donne. La seconda puntata dell’inchiesta di Open sulla salute mentale

Dopo oltre un anno di attesa il «bonus psicologo» riparte. Dal 18 marzo fino alla fine di maggio potranno essere presentate le domande per ottenere il contributo. Una modifica al decreto legge Milleproroghe ha aumentato le risorse: da 8 a 10 milioni per il 2024, che diventano così pari a quelle disponibili per il 2023. L’incentivo, una tantum, spetta a coloro che hanno un reddito Isee non superiore a 50mila euro e sono residenti in Italia. Ma spetta anche (e soprattutto) a chi ne farà richiesta prima degli altri. Il rischio è infatti che si esauriscano i fondi in men che non si dica. Come è accaduto lo scorso anno quando sono state accettate circa 40mila richieste su un totale di quasi 400mila. Questo perché la domanda sale, l’offerta – specialmente pubblica – soffre. Una dinamica che compromette il benessere e i diritti degli psicologi e, al contempo, attiva un circolo vizioso con conseguenze negative per coloro che cercano assistenza psicologica – online o in presenza – nel settore pubblico. A pesare è soprattutto la mancanza di investimenti che crea, di fatto, un divario socioeconomico nell’accesso ai servizi di supporto: coloro che possono permettersi di pagare una consulenza privata vantano di un’ampia gamma di opzioni, mentre coloro che sono nelle condizioni di dover dipendere dai servizi pubblici rischiano di rimanere senza un sopporto adeguato per far fronte a quella che gli esperti chiamano la «nuova pandemia». 


Nel pubblico «un percorso di tipo psicologico è impossibile»

Nel servizio pubblico «un percorso di tipo psicologico è pressoché impossibile» ad oggi, spiega a Open Felice Torricelli, presidente dell’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza degli Psicologi (Enpap). A pagarne di più le spese sono «i giovani, gli studenti, i disoccupati e le donne»: soggetti fragili che da una parte «hanno aumentato la loro sofferenza psicologica – spiega l’esperto -, dall’altra hanno però trovato un’assenza totale di servizi pubblici in grado di farsi carico delle loro difficoltà». Durante il periodo pre-pandemico, per citare qualche dato, 10 milioni di italiani hanno fatto i conti con ansia e depressione conclamata. Post Covid-19 i motivi di stress, di tensione, le paure non sono affatto diminuiti. «Tantissime incertezze, timori, la percezione di dis-controllo di tutto quello che abbiamo intorno, un senso diffuso di impotenza, di incapacità, di insufficienza. E soprattutto – sottolinea Torricelli – una grandissima solitudine all’interno della quale tutti quanti siamo ormai precipitati». 


Il Bonus psicologo «inutile e sottofinanziato»

Lo Stato, con il bonus psicologo, ha cercato di far fronte a questa situazione di incertezza. Eppure, la misura – nonostante abbia prodotto una sorta di «sollievo temporaneo» – è insufficiente e inadatta. «Aiuta soltanto coloro che hanno scelto e hanno potuto permettersi di andare in psicoterapia o richiedere una consulenza psicologica», precisa Torricelli che sottolinea, tra le altre, come sia «difficilissimo che una persona che non può permettersi un intervento entri in consulenza psicologica attendendo che poi Inps rimborsi la seduta. Non è una strumento – afferma – che consente l’accesso ai servizi di psicologia a coloro che ne avrebbero più bisogno». Se guardassimo a queste misure, indirizzate alla salute mentale dei cittadini, anche in termini di «investimento con ricadute economiche immediatamente monetizzabili», cambierebbe immediatamente la prospettiva. «Questi disturbi, ansia e depressione, hanno l’effetto di colpire persone che sono quelle su cui il Paese conta per funzionare», specifica l’esperto. 

Creatività e produttività: vittime dei mancati finanziamenti in psicologia

In altri termini: colpiscono la maggior parte dei cittadini nella fase attiva della loro vita lavorativa o del loro periodo di studio inficiandone fortemente il funzionamento. «Sappiamo oggi che all’incirca il 50% dell’assenteismo è legato all’ansia e alla depressione – precisa -. E l’assenteismo riduce enormemente la produttività. Ma anche quello che gli inglesi chiamano presentismo, cioè la condizione in cui le persone vanno al lavoro, sono presenti in azienda, ma rendono, producono, lavorano e studiano molto meno». Ansia e depressione anche a livelli molto bassi, «si mangiano, così, quella che è la principale risorsa economica del nostro Paese, ovvero la creatività: la capacità delle persone di trovare soluzioni a problemi». Ed è lo Stato, con le sue politiche, a dover incentivare servizi indirizzati al raggiungimento di una qualità di vita accettabile. «Se non ci sono stanziamenti in questo settore tutto quanto resta fermo», dice il responsabile di Enpap. «Se non cambiano le priorità della politica, e guardate bene non è un tema di destra e sinistra – precisa -, questo trend continua da vent’anni, si sono susseguiti governi di tutti i colori. Però non c’è mai denaro per fare interventi in questo ambito. Ma spendere in psicologia vuol dire investire non soltanto in benessere, ma investire in un’economia meglio funzionante, significa investire in produttività del Paese».

L’altro lato della medaglia: gli psicologi sottopagati

La pandemia, e la conseguente esplosione delle terapie online, ha spinto le persone a rivalutare le proprie priorità. Prendersi cura di se stessi, della propria salute mentale, è diventato – per certi versi – un bisogno, ma anche un diritto se vogliamo, imprescindibile. «Quello che sta cambiando è che adesso ne sono sempre più consapevoli i cittadini, le persone, un po’ meno le istituzioni», afferma Torricelli. Molto spesso tale consapevolezza si scontra però con l’effettiva trasformazione sul piano pratico: sia a causa della mancanza di risorse personali, sia a causa dei sottofinanziamenti pubblici. Ma non solo: l’altro lato della medaglia coinvolge chi questi servizi di salute mentale deve erogarli, ovvero psicologi e psicoterapeuti. Una categoria che continua da anni a lottare contro salari insufficienti e precarietà, nonostante l’aumento dei redditi a livello nazionale. «Il tema è che ci sono pochissimi psicologi nel pubblico. Ci sono ambiti nei quali – continua l’operatore – gli psicologi sono sottopagati dallo Stato, nonostante in sanità si riesca solitamente ad avere stipendi dignitosi». Ma esiste dallo scorso anno «una normativa sull’equo compenso per tutti i lavoratori – continua -. Siamo in attesa dei decreti attuativi perché ci deve essere un decreto dei ministeri che deve definire gli importi».

Il cortocircuito tra domanda e offerta

Tale incertezza economica porta inevitabilmente gli operatori a cercare soluzioni per il proprio sostentamento: «Tra gli psicologi c’è una quota molto alta di persone che hanno un altro lavoro e si dedicano part-time alla libera professione», spiega. Ed è quello femminile (le psicologhe sono circa l’85% del totale), il genere che ricorre a tale “sdoppiamento” «con una sperequazione reddituale tra maschi e femmine che nel pre-pandemia era del 40% a favore degli uomini – ricorda l’esperto -, ma che con l’aumento generalizzato del fatturato dei redditi post pandemia, ha visto il gap ridursi». E le persone che lavorano a tempo parziale tendono a investire di meno «al “procacciamento” clienti, che è fondamentale – spiega -, e che se vogliamo è l’operazione che invece fanno le piattaforme. Quest’ultime mettono a disposizione dei colleghi i clienti e si fanno pagare per questo». Il meccanismo è chiaro: se gli psicologici e psicoterapeuti «non investono in pubblicità e presenza online, ai convegni e negli spazi giusti avranno sempre meno clienti e in Italia manca una struttura che faccia proprio questo lavoro», intercettare domanda-offerta. E la ricerca di benessere, che può scaturire dalla gestione della complessità, dei cambiamenti repentini, dall’uscita dall’abisso nel quale siamo caduti, diventerà sempre più una priorità e avrà sempre più bisogno di psicologi. I dati parlano chiaro: un italiano su dieci vorrebbe andare dallo psicologo, ma è costretto a rinunciarvi per motivi economici (indagine realizzata dall’Istituto Piepoli per il Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi). Ma se è vero il detto nessuno si salva da solo, è anche vero che le persone hanno il diritto di avere risorse, strumenti, possibilità eque per potersi salvare. 

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