Roma, Pietro Genovese e l’evasione dai domiciliari: «Ero a casa, dormivo»

Il giovane, condannato per aver investito due ragazze nel 2019, non ha risposto ad un controllo di polizia. A metà giugno la sentenza

Continua il processo che vede Pietro Genovese accusato di evasione dagli arresti domiciliari. Il figlio del regista, presente anche oggi (24 maggio) in aula a Piazzale Clodio continua a respingere le imputazioni. Quel 16 gennaio 2021, quando le forze dell’ordine hanno suonato alla sua porta, non ha risposto perché «si era addormentato». Lo ha dichiarato oggi nel corso dell’udienza in cui sono stati ascoltati anche suo fratello Matteo, la fidanzata di quest’ultimo, il portiere del palazzo e l’operante dei carabinieri che quel giorno suonò alla sua porta. Pietro Genovese, 24 anni, è stato condannato a cinque anni e quattro mesi per la morte di Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli, entrambe di 16 anni, investite e uccise la sera del 22 dicembre 2019 in Corso Francia a Roma, mentre attraversavano la strada.


La ricostruzione

Quel sabato di gennaio di tre anni fa, le forze dell’ordine avevano controllato la presenza in casa del giovane una prima volta, alle 15:55. Il primo controllo era andato a buon fine. Ma quando erano tornati due ore dopo, nessuno aveva risposto al suono del citofono. Gli operanti, come confermato da uno di loro in aula, non avevano suonato solo al campanello fuori il palazzo dove Genovese vive con la sua famiglia: erano saliti anche sul pianerottolo, schiacciando il pulsante al di fuori della porta di casa. Anche in quel caso, nessuna risposta.


La versione di Genovese

«Mi sono addormentato senza volerlo. Provavo a fare attenzione, sapendo dei controlli, ma quel giorno sono crollato. Però ero nella mia camera». Una stanza dalla quale il suono del campanello arriverebbe attutito, come sottolineato dall’avvocato che difende il 25enne, Gianluca Tognozzi, e confermato dalla fidanzata di Matteo Genovese, fratello di Pietro. Ai testi presenti oggi in aula è stato anche mostrato un video registrato dalle videocamere di sorveglianza del palazzo, che inquadra l’entrata dello stabile. Nessuno di loro ha riconosciuto Pietro in qualcuno di quelli che sono entrati e usciti dal palazzo nella fascia oraria esaminata. La parola “fine” alla vicenda processuale arriverà probabilmente nel corso della prossima udienza, fissata per la metà di giugno.

L’amaro post della madre di Gaia

Nel frattempo Gabriella Saracino, la madre di Gaia von Freymann, ha affidato tutto il suo dolore a un post pubblicato sui social poche ore prima che Genovese parlasse in aula. «Questa è una foto del 22 maggio 2020. Noi a messa per le nostre bambine e “lui” a fare un festino con amici. I vicini chiamano i carabinieri per musica ad altissimo volume e schiamazzi!». Il riferimento è ad alcune segnalazioni che, però, non sono sfociate in un procedimento. Non è la prima volta che Gabriella Saracino condivide parole cariche di dolore per la vicenda che le ha strappato via la figlia. «Il povero ragazzo vive serenamente a Londra già da un po’ così lì nessuno può riconoscerlo e chiamarlo “assassino” come a Roma è accaduto!», aveva scritto lo scorso dicembre.

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