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La storia della miniera di litio in Serbia che accende le proteste dei residenti ma avvicina Belgrado all’ingresso nell’Ue

Il progetto per la miniera di Jadar, al confine con la Bosnia Erzegovina, è considerato fondamentale per la transizione energetica avviata da Bruxelles. Ma i cittadini temono per le conseguenze ambientali

Transizione ecologica e relazioni internazionali spesso vanno a braccetto. E per accorgersene basta guardare a ciò che sta accadendo in Serbia, dove da settimane si protesta contro la decisione del governo di autorizzare la costruzione di una grossa miniera per l’estrazione di litio nella valle del fiume Jadar, al confine con la Bosnia Erzegovina. Si tratta di un progetto imponente e caldeggiato anche dall’Unione europea, costretta finora a importare la stragrande maggioranza di materie prime critiche – tra cui figura anche il litio – dalla Cina. La firma del presidente Aleksandar Vučić per autorizzare l’apertura della miniera va letta anche come un tentativo di migliorare i rapporti con i vertici Ue e avvicinare la Serbia al tanto agognato ingresso nell’Unione.

Le proteste di piazza e il precedente del 2022

A contestare questa strategia sono le migliaia di persone che nelle scorse settimane sono scese in strada a Belgrado per protestare contro il presidente Vučić e chiedere di revocare l’autorizzazione per la miniera di litio. A dirla tutta, le proteste di piazza contro l’apertura della miniera di Jadar non sono proprio una novità. La prima autorizzazione del governo serbo per sfruttare i giacimenti di litio risale al 2019. Tre anni più tardi, in seguito a grosse proteste antigovernative e alle imminenti elezioni presidenziali, Vučić decise di revocare i permessi e mettere in stallo l’intero progetto. Nel 2024, la Corte costituzionale serba ha dichiarato questa mossa illegittima, invitando l’esecutivo a riavviare il progetto e riaccendendo il fuoco delle proteste.

La paura dei residenti

Ad aggiudicarsi il permesso per operare nella miniera è l’azienda anglo-australiana Rio Tinto, secondo cui le attività saranno condotte nel massimo rispetto delle leggi serbe ed europee e avranno ricadute ambientali minime. I residenti però non si fidano e temono che le attività di estrazione inquinino l’acqua e il suolo. «Non abbiamo bisogno di automobili “verdi”. Abbiamo bisogno di mele verdi e di prati verdi», ha spiegato Angela Rojovic, una giovane manifestante, al New York Times. Un articolo scientifico pubblicato a luglio su Scientific Reports ha mostrato che i soli scavi perlustrativi dell’area hanno contaminato un grosso giacimento di acqua potabile nel sottosuolo. Dal canto suo, Rio Tinto assicura che «nessuna sostanza chimica filtrerà nell’aria, nell’acqua o nel suolo» e fa leva sulle promesse di posti di lavoro per i residenti della zona: 20mila, secondo le stime del governo serbo.

Un manifestante indossa una maglietta con la scritta «Non vi permetterò di avvelenarmi» durante una protesta a Belgrado, 10 agosto 2024 (EPA/Andrej Cukic)

La corsa al nuovo «oro bianco»

Le politiche di transizione ecologica ed energetica avviate negli ultimi anni dai governi di tutto il mondo hanno fatto impennare la domanda di litio, che viene utilizzato soprattutto nei sistemi di stoccaggio dell’energia e per le batterie delle auto elettriche. Secondo le stime del ministero dell’Energia serbo, nella miniera di Jadar si potrebbero estrarre 58mila tonnellate di litio nei primi due anni. Una quantità sufficiente per la produzione di batterie di oltre un milione di veicoli elettrici. Oggi l’Unione europea importa la quasi totalità del litio di cui ha bisogno, ma con il Critical Raw Materials Act si è impegnata a incentivare la riapertura delle miniere anche sul suolo europeo. Secondo lo Hague Centre for Strategic Studies, i Paesi Ue avranno bisogno di sessanta volte più litio di quello che hanno importato nel 2020 se vogliono raggiungere davvero gli obiettivi di neutralità climatica fissati per il 2050.

La promessa di Vučić all’Ue

Il 19 luglio scorso, l’Unione europea e il governo serbo hanno firmato un memorandum d’intesa dove promettono di collaborare per lo sfruttamento della miniera di Jadar. Un progetto su cui hanno messo gli occhi non solo le istituzioni comunitarie ma anche alcune grosse aziende automobilistiche, tra cui Mercedes-Benz e Stellantis, interessate ad acquistare il litio estratto in loco. Il pieno funzionamento della miniera permetterebbe a Bruxelles di ridurre le importazioni di litio dall’estero e approfondire le relazioni commerciali con la Serbia, allontanandola dalla sfera d’influenza di Vladimir Putin. Dal 2009, infatti, il Paese oggi governato da Aleksandar Vučić vorrebbe entrare nell’Unione europea, ma da allora sono stati fatti pochi passi avanti in tal senso. I dubbi dei vertici Ue riguardano soprattutto alcune politiche del governo serbo sull’autonomia del potere giudiziario, sul controllo dei media ma anche i rapporti ambigui di Vučić con Mosca. E chissà se non saranno proprio le future forniture di litio a convincere Bruxelles a cambiare idea e far accelerare i negoziati per l’ingresso della Serbia nell’Unione.

Ursula von der Leyen e Aleksandar Vučić durante una conferenza stampa a Belgrado, 31 ottobre 2023 (EPA/Andrej Cukic)

In copertina: Una marcia a Belgrado organizzata per protestare contro l’apertura della miniera di litio in Serbia, 10 agosto 2024 (EPA/Andrej Cukic)

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