«Se sei un mafioso non sei un buon padre». La sentenza del tribunale di Palermo su un uomo condannato a 20 anni di carcere


Chi fa parte di Cosa nostra è «sintomatico di un’inadeguatezza alle funzioni genitoriali». Per questo motivo, in caso di condanna relativa ad attività mafiose vanno allontanati dai figli. Lo sostiene il Tribunale per i minorenni di Palermo che ha dichiarato decaduta la responsabilità genitoriale di un uomo arrestato dalla Dda e poi condannato a 20 anni di reclusione. I figli , in base alla sentenza, resteranno con la madre. Questo perché i servizi sociali hanno assicurato le «capacità genitoriali della donna, che giovandosi anche del supporto della sua rete familiare è riuscita ad assicurare ai minori un efficiente percorso scolastico e un buon modello educativo».
La richiesta, accolta, della procuratrice Caramanna e le minacce di morte ricevute
Il caso specifico è stato ricostruito da Repubblica Palermo. «Il padre – si legge nella sentenza che accoglie la richiesta della procuratrice Claudia Caramanna – è stato riconosciuto colpevole di avere diretto e organizzato l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti operante nel mandamento di Porta Nuova, gestendo la piazza di spaccio della Vucciria, nonché per avere curato l’approvvigionamento di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente destinati alle piazze di spaccio e per avere garantito il rispetto delle regole imposte dal mandamento mafioso nel settore della droga». Per i giudici sono «condotte, giudizialmente accertate, appaiono sintomatiche di un’inadeguatezza alle funzioni genitoriali». Una sentenza che apre un precedente, specialmente davanti alle diverse richieste di decadenza della potestà genitoriale avanzate dalla procuratrice per i minorenni Caramanna. Procuratrice che, per via della sua attività, ha anche subito minacce. «I modelli comportamentali del padre dei minori, improntati all’adesione al sistema di violenza e prevaricazione tipico dell’associazione mafiosa – stabilisce il Tribunale – sono estremamente intrisi di rischi per il percorso educativo e di crescita dei minori». La decisione presa a Palermo è in linea su quanto fatto prima in Calabria dal giudice Roberto Di Bella, oggi presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, tramite il protocollo “Liberi di scegliere“.