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Manovra 2026, fondo da 2,3 miliardi per i Comuni in dissesto: lo Stato teme i pignoramenti

18 Ottobre 2025 - 09:38 Alba Romano
giorgetti documento finanza pubblica difesa
giorgetti documento finanza pubblica difesa
Il governo ha aumentato il deficit solo dello 0,1% del Pil per creare una riserva contro le sentenze sui debiti locali. Dopo il decreto del Tribunale di Roma che obbliga Palazzo Chigi a pagare un Comune fallito, si teme un effetto domino da centinaia di milioni di euro

Nella manovra economica approvata ieri, venerdì 17 ottobre, il governo ha scelto di aumentare il deficit solo dello 0,1% del Pil, pari a circa 2,3 miliardi di euro. Una cifra modesta rispetto alle precedenti leggi di Bilancio, ma con una destinazione inedita: quei fondi saranno usati per coprire i costi di eventuali condanne giudiziarie contro lo Stato. È Il Fatto Quotidiano a riportare la notizia. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti lo aveva anticipato in Parlamento: «Il lieve peggioramento del deficit potrà essere utilizzato solo per spese una tantum. Sarà istituito un fondo specifico per fronteggiare gli effetti finanziari derivanti da sentenze nazionali ed europee nelle quali lo Stato potrebbe risultare soccombente». Tradotto: il governo avrebbe deciso di accantonare risorse per pagare eventuali risarcimenti derivanti da cause giudiziarie. Una scelta imposta dai rischi aperti da una sentenza del Tribunale di Roma del 17 settembre.

Il decreto del Tribunale di Roma

Quel giorno, il giudice Nicola Valletta del Tribunale civile di Roma ha emesso un decreto ingiuntivo da decine di milioni di euro contro Palazzo Chigi, ordinando il pagamento di un debito maturato da un Comune in dissesto finanziario. È la prima volta che un tribunale italiano riconosce la responsabilità diretta dello Stato centrale per un debito locale. Fino a oggi, i giudici avevano sempre applicato la normativa italiana sui dissesti, secondo la quale i Comuni insolventi rispondono autonomamente delle proprie passività. Ma in questo caso, il magistrato ha dato ragione a un gruppo di creditori – rappresentati dallo studio legale Ontier – che avevano ottenuto una decisione favorevole anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Il decreto, pur impugnabile entro 40 giorni, è immediatamente esecutivo. E rischia di aprire la strada a centinaia di ricorsi analoghi.

La valanga di cause in arrivo

Per capire la portata del problema bisogna tornare indietro. Dal 1989, anno di introduzione della procedura di dissesto, oltre mille Comuni italiani sono finiti in crisi finanziaria. Al 1° gennaio 2025, secondo i dati del Tesoro, risultavano 105 Comuni in dissesto, 266 in riequilibrio e 123 con ancora attivi gli organismi di liquidazione a più di cinque anni dall’avvio della procedura. Considerando anche società partecipate e consorzi locali, le procedure aperte superano 1.400. Quando un Comune dichiara il dissesto, tutti i debiti vengono congelati e le procedure esecutive si bloccano per evitare il collasso dei servizi pubblici. Tuttavia, per chi vanta crediti – imprese, banche o privati – il rischio è di non essere mai risarcito. Gli organismi di liquidazione, infatti, propongono spesso transazioni al 40% del valore del debito, da cui va detratto un ulteriore 20% di tasse. In pratica, per ogni mille euro dovuti, un creditore può riceverne appena 320 netti.

La Cedu dà ragione ai creditori

È per questo che, negli ultimi anni, molti si sono rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Da Strasburgo, a partire dal 2022, sono arrivate sentenze che danno ragione ai creditori, riconoscendo che la legge italiana sui dissesti viola il diritto di proprietà e, quando le sentenze non vengono eseguite, anche il diritto a un giusto processo. La Cedu, inoltre, considera lo Stato italiano garante dei debiti dei suoi enti locali, aprendo così la possibilità di risarcimenti a carico dell’erario nazionale. Se la decisione dovesse essere confermata, centinaia di altri creditori – già in attesa a Strasburgo o nei tribunali italiani – potrebbero fare lo stesso passo. Le cifre in gioco non sono ancora quantificabili, ma le stime parlano di potenziali costi da centinaia di milioni a diversi miliardi di euro. Per questo, nella manovra da 18 miliardi complessivi, il governo ha scelto di destinare il 12% delle risorse totali a un “Fondo per le sentenze”, un paracadute contabile destinato a evitare che eventuali condanne europee o nazionali provochino squilibri nei conti pubblici.

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