Guida completa alla Cop30: date, location e temi sul tavolo della conferenza sul clima a Belém, in Brasile


Tra guerre che finiscono, altre che non si fermano, dazi e crisi economiche, la lotta ai cambiamenti climatici sembra essere scivolata in fondo alla lista delle priorità della politica internazionale. Eppure, tra meno di un mese, il mondo tornerà a riunirsi per parlare proprio di questo. L’occasione è la Cop30, il vertice delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a Belém, in Brasile, nel cuore dell’Amazzonia. Un luogo simbolico, che il prossimo novembre ospiterà leader di tutto il mondo, diplomatici, negoziatori, ma anche dirigenti d’azienda, esperti, attivisti ed esponenti della società civile.
Cosa sono le Cop?
Il termine “Cop” è un acronimo di «Conferenza delle Parti» e si riferisce alla riunione annuale dei Paesi — 197 in tutto — che hanno ratificato la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, stipulata a Rio de Janeiro nel 1992. In quell’occasione, per la prima volta i governi si misero d’accordo per impegnarsi a contrastare il riscaldamento globale e ridurre le emissioni di gas serra. La Cop1 si è tenuta nel 1995 a Berlino e a presiederla c’era una giovane Angela Merkel, all’epoca ministra dell’Ambiente della Germania. L’ultima edizione, la Cop29, si è tenuta invece a Baku, in Azerbaigian.
Dove e quando si terrà la Cop30?
La Cop30 durerà all’incirca due settimane: da lunedì 10 a venerdì 21 novembre. A presiedere la conferenza sarà André Corrêa do Lago, un economista e diplomatico di lungo corso scelto dal governo brasiliano per il ruolo di capo negoziatore. I primi giorni, come di consueto, saranno dedicati agli interventi dei capi di Stato e di governo. Dopodiché, inizieranno i negoziati veri e propri. La città che ospiterà la prossima edizione della Cop è Belém, nel cuore dell’Amazzonia. Una scelta dal forte valore simbolico, ma che ha creato non pochi problemi organizzativi.
Si tratta, infatti, di una zona del Brasile non abituata ad accogliere un imponente flusso di persone come quello che si vedrà in occasione della Cop, il che ha spinto alcuni Paesi — nonché le stesse Nazioni Unite — a limitare i propri partecipanti alla conferenza a causa della scarsità di alloggi e dei prezzi esorbitanti degli hotel. «Non sarà la Cop del lusso, ma la Cop della verità», ha detto il presidente brasiliano Lula, ammettendo le difficoltà logistiche della città amazzonica ma confermando la volontà di superare i formalismi delle precedenti edizioni. «Conosco i problemi, la povertà e le carenze di Belém. Ma abbiamo accettato la sfida per mostrare al mondo cos’è davvero l’Amazzonia. Se qualche gringo sarà punto dalle zanzare non c’è problema: devono sapere come viviamo», ha aggiunto ancora il presidente brasiliano.

Cosa si è deciso alla Cop29?
La conferenza di Belém riprenderà il filo della Cop29 di Baku, dove i Paesi più ricchi e industrializzati si sono impegnati a mettere a disposizione 300 miliardi di dollari all’anno, fino al 2035, per dare una mano ai Paesi del cosiddetto «Sud globale», aiutandoli a ridurre le emissioni. Il vertice sul clima dell’Azerbaigian ha approvato, inoltre, le norme per il mercato internazionale delle emissioni di carbonio, previsto all’articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Quel voto consentirà di dare vita a un mercato in cui le emissioni di un Paese possono essere compensate in altri territori, per esempio attraverso grandi progetti di riforestazione o impianti di rinnovabili.
Il decimo anniversario dell’Accordo di Parigi
La conferenza sul clima in Brasile segna anche un anniversario simbolico, perché si terrà a dieci anni di distanza dall’Accordo di Parigi, pietra miliare della diplomazia climatica. Fu in quella sede, nel 2015, che i governi di tutto il mondo raggiunsero un accordo per impegnarsi a limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C — e possibilmente entro il grado e mezzo — rispetto all’era pre-industriale (1850-1900). I modelli climatici prevedono che, con le politiche climatiche attualmente in vigore e/o annunciate, la temperatura globale sforerà quella soglia, ma secondo gli esperti c’è ancora tempo per correggere la rotta. «I modelli mostrano che con politiche climatiche allineate all’Accordo di Parigi si limiterebbe l’aumento a 1,8 gradi. Non è la perfezione o quello che avremmo voluto, ma è qualcosa da salvaguardare», spiega Serena Giacomin, climatologa e direttrice scientifica di Italian Climate Network.

Trump che si sfila e la nuova ambizione della Cina
C’è però un altro fattore che rischia di complicare i negoziati della Cop30: il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Come già fatto nel primo mandato, il presidente americano ha tirato fuori gli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi, ma non dalla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il che significa che probabilmente il governo americano invierà i propri diplomatici in Brasile per negoziare il testo finale. Con il ritorno del tycoon alla Casa Bianca, gli Usa si sono sfilati di fatto dalla lotta ai cambiamenti climatici (e anche da molti loro impegni finanziari sul clima). Un’occasione ghiotta per la Cina, che — dopo essersi assicurata il controllo su buona parte delle filiere delle materie prime critiche e delle clean tech — punta ora a dipingersi sullo scacchiere internazionale come leader delle politiche per il clima.
Il ruolo dell’Italia e dell’Ue
A contendere a Pechino il ruolo di “prima della classe” c’è anche l’Unione europea. Nell’ultimo anno, le istituzioni Ue hanno rimesso mano al Green Deal, suscitando forti critiche da parte degli ambientalisti. Ciononostante, l’Europa resta una delle economie con la legislazione più ambiziosa dal punto di vista delle politiche per il clima. Bruxelles ha ribadito il proprio impegno a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 e aveva promesso che avrebbe presentato due obiettivi intermedi — per il taglio delle emissioni entro il 2035 e il 2040 — prima della Cop30. La scadenza non è stata ancora rispettata, ma i vertici Ue sembrano intenzionati a “guidare” i negoziati e spingere altre grandi economie a fare la propria parte per contenere il riscaldamento globale.
Chi ospiterà la Cop31?
Mentre i negoziati della Cop30 del Brasile devono ancora cominciare, è già in corso un altro braccio di ferro politico: quello per decidere chi ospiterà la conferenza sul clima del 2026. I candidati di punta sono due: Australia e Turchia. Il Paese oceanico, in particolare, è convinto di essere in una posizione di vantaggio per spuntare la vittoria ed è al lavoro da mesi per assicurarsi il supporto di quanti più governi possibile. Il premier Anthony Albanese sta facendo pressioni su Ankara affinché abbandoni la sua candidatura e spiani la strada per ospitare la Cop31 in Australia, forse nella città di Adelaide. Più che il presidente Recep Tayyip Erdoğan, Albanese dovrà convincere la first lady del leader turco, Emine Erdoğan, da sempre impegnata nell’attivismo ambientale.