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I rider consegnano la legge: “Stanchi di aspettare il Governo”

18 Dicembre 2018 - 06:50 Valerio Mammone

Il 13 dicembre i rider di Deliveroo, una delle principali società multinazionali di consegne di cibo a domicilio, hanno ricevuto un’email sul loro smartphone: dal primo gennaio 2019 – c’era scritto – passeremo al pagamento a consegna e non ci sarà più il salario orario garantito.

 

Il giorno stesso, dagli uffici del Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio è trapelata la bozza di un accordo collettivo che, se firmato da tutti, abolirebbe i pagamenti a consegna e obbligherebbe le aziende come Deliveroo a offrire una paga minima oraria. Insomma, l’esatto contrario.

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 ANSA/MASSIMO PERCOSSI |Il Ministro Di Maio durante il primo incontro con i fattorini al Ministero del Lavoro.

Sei mesi fa questa coincidenza non avrebbe fatto notizia. Oggi sì, perché il confronto voluto da Luigi di Maio per migliorare le paghe e le condizioni di lavoro dei fattorini va avanti ormai da giugno e una proposta che metta d’accordo tutti – Il Governo, le aziende di consegne a domicilio, i sindacati autonomi dei fattorini e i sindacati confederali  (Cgil, Cisl e Uil) – non solo non è stata trovata, ma sembra sempre più una chimera.

 

“Siamo stanchi di aspettare. Il governo si deve assumere le proprie responsabilità. Ha fatto delle promesse ed è ora di mantenerle”, dice un rappresentante di Deliverance Milano, il sindacato autonomo dei fattorini. “La verità è che il confronto non si è mai aperto perché ogni parte è rimasta sulle proprie posizioni”.

 

Dopo mesi di attesa i fattorini hanno deciso di presentare una legge dedicata a Maurizio Cammillini e Alberto Piscopo Pollini, due ragazzi di 29 e 19 anni morti recentemente mentre facevano consegne a domicilio. Il testo, che vi mostriamo in anteprima, è stato scritto dal gruppo Deliverance Milano ed è appoggiato e condiviso dalle altre rappresentanze territoriali dei rider. Ecco cosa prevede:

 

– Equiparazione dei rider ai lavoratori subordinati.

 

– Abolizione del cottimo, ovvero dei pagamenti a consegna.

 

– Regolamentazione degli algoritmi usati per assegnare i turni e per valutare le prestazioni dei rider: “prima di entrare in vigore – scrivono i rider – dovranno essere sottoposti a un periodo di esperimento fissato dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati tra le parti sociali”.

 

– Diritto alla disconnessione: le aziende – si legge nel testo – non possono inviare comunicazioni ai rider per almeno 11 ore dalla fine dell’ultimo turno. Le aziende che non rispettano questa norma sono tenute e risarcire il lavoratore con una multa che va da 250 a 1250 euro per ogni violazione.

 

Ricapitolando: il governo, con l’appoggio dei sindacati confederali, vorrebbe riconoscere ai rider una lunga serie di tutele (paga minima oraria, copertura previdenziale Inps e Inail, tetto di tre consegne all’ora, rimborso delle spese di manutenzione delle biciclette e dei motorini, ecc), tranne la subordinazione. 

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I rappresentanti dei fattorini non rinunciano alla subordinazione, sebbene l’ipotesi sia stata già respinta sia dalle piattaforme che dallo stesso Di Maio. Per le prime il passaggio dal lavoro autonomo a quello subordinato sarebbe troppo costoso; il Ministro del Lavoro, che era stato il primo a voler inquadrare i rider come lavoratori subordinati, è tornato invece sui suoi passi dopo le proteste delle aziende e i dubbi di costituzionalisti ed esperti di diritto del lavoro.

 

E le piattaforme? Finora quelle più grandi – riunite nell’associazione Assodelivery – hanno presentato un documento di una pagina e mezza che contiene una serie di proposte: un “compenso dignitoso”, un’assicurazione contro gli infortuni e i danni a terzi (che la maggior parte di loro già offre) e l’impegno a non discriminare i lavoratori in base alla loro disponibilità e velocità di consegna. Per i fattorini si tratta di una “non proposta”, ma è difficile che le aziende offrano di più.

 

Oggi i lavoratori delle piattaforme sono inquadrati con formule e contratti che permettono di contenere i costi: Just Eat, e le più piccole Movenda e Foodracers, offrono contratti di collaborazione coordinata e continuativa che prevedono anche il versamento dei contributi Inps e Inail per la pensione e gli infortuni sul lavoro. Glovo, Deliveroo e Ubereats le aziende più grandi del settore, fanno contratti di collaborazione occasionale e richiedono la partita iva a chi guadagna più di 5mila euro lordi: non versano i contributi, ma garantiscono un’assicurazione gratuita contro gli infortuni.

 

Le paghe sono molto variabili. Nel caso di Deliveroo di cui abbiamo parlato all’inizio il compenso è composto da tre voci: 2 euro per il ritiro, 1 euro per la consegna, più una tariffa variabile in base alla distanza percorsa. L’azienda garantisce un minimo di una consegna e mezza all’ora o una paga oraria di 7 euro e 50 centesimi. Dal 1 gennaio 2019 la paga oraria non ci sarà più: la scelta potrebbe essere rivista, ma secondo l'azienda i rider che hanno adottato questo sistema guadagneranno, in media, il 15% in più. 

Nel frattempo la Banca d'Italia ha pubblicato una prima ricerca che stima numero e caratteristiche dei rider in Italia. Sarebbero circa 7650, lo 0,04% degli occupati, la loro età media è di 25 anni e il 77% è di nazionalità italiana. Qualcuno potrebbe dire che sono troppo pochi, e quindi bisognerebbe parlare di altro. Ma basta prendere il dato sul titolo di studio per cambiare idea: il 20% dei rider ha una laurea, contro il 2% di chi si occupa di servizi di trasporto e magazzinaggio in altri settori. Lavoratori atipici quindi, con titoli di studio alti, età mediamente molto bassa e per due terzi italiani. Uno spaccato del lavoro che cambia e che va capito, governato, accompagnato.

Per Di Maio non sarà facile trovare un accordo che vada bene a tutti. I rider chiedono diritti, tutele e il riconoscimento della subordinazione; le aziende devono tenere basso il costo del lavoro per non stravolgere il loro modello di business. Per il ministro  è tempo di decidere da che parte stare. 

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