I rider di Foodora più tutelati “grazie” al Jobs Act. Ma la sentenza di Torino non vale per tutti

Le motivazioni dei giudici: i rider non hanno tutti i diritti di un lavoratore subordinato (come la tutela dal licenziamento), ma sono garantiti dal punto di vista retributivo, della salute e della sicurezza e sugli orari di lavoro. L’esperto: «Sentenza interessante, ma non risolutiva»

I rider, i fattorini che consegnano il cibo in bicicletta nelle nostre città, non sono lavoratori subordinati, ma hanno diritto ad alcune delle tutele previste per i lavoratori subordinati. Lo stabilisce la sentenza della Corte d’appello di Torino nella vertenza fra Foodora e suoi cinque ex fattorini dello scorso gennaio. Il 4 febbraio sono arrivate le motivazioni: quello che i giudici hanno evidenziato, ed è la prima volta che un tribunale lo fa in modo chiaro, è che i rider posso godere di alcuni, ma non tutti, dei diritti che spettano ai lavoratori subordinati, perché sono eterorganizzati. Che significa? Che nell’organizzazione del loro lavoro non sono autonomi, ma dipendono dalle aziende. Abbiamo chiesto a Emanuele Dagnino, ricercatore di  Adapt (Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali) di spiegarci quali effetti avrà la decisione dei giudici di Torino e cosa cambierà per i lavoratori e le aziende nel dettaglio.


Cosa ha detto in sostanza questa sentenza di nuovo sulla subordinazione dei rider (cioè sul fatto che siano o meno lavoratori subordinati, con i diritti che ne derivano)?


È stata data particolare attenzione ad alcuni aspetti dell’organizzazione del lavoro all’interno della piattaforma, che riguardano le coordinate spazio-temporali della prestazione. I turni, anche se era il lavoratore a candidarsi, sono decisi dal committente. Anche le zone di partenza sono definite dal committente, così come gli indirizzi di consegna e i tempi delle consegne stesse. In base a questi elementi fattuali i giudici hanno riscontrato ci fosse eterorganizzazione: che è il criterio di accesso alle discipline del lavoro subordinato ai sensi dell’articolo 2 del D.lgs. 81/2015 (che fa parte del cosiddetto Jobs Act, ndr), il quale ne estende l’applicazione alle collaborazioni organizzate dal committente.

È questa sostanzialmente la novità?

Sì, è una sentenza interessante perché trova applicazione – ed è una delle primissime volte – l’articolo 2 del Jobs Act: l’interpretazione che è stata data di questo articolo è completamente diversa da quella che è stata data dal Tribunale di merito e diversa anche dal caso della sentenza Glovo del Tribunale di Milano, in cui gli elementi dell’eterorganizzazione erano stati valutati, ma non gli era stato dato così rilievo.  Anche perché in quella piattaforma c’erano limiti al lavoro diversi: non era circoscritta ad esempio la zona, ma alcuni elementi erano stati comunque presi in considerazione. 

È una sentenza che cambierà le piattaforme e il modo di lavorare dei rider?

Bisogna considerare che non tutte le piattaforme si comportano allo stesso modo: in alcune piattaforme non esistono gli elementi che sono stati valutati dalla sentenza e ciò potrebbe incidere sulla competitività delle aziende stesse. Rispetto agli effetti sul mondo del lavoro delle piattaforme bisogna valutare il caso concreto, cioè la ricorrenza degli elementi di cui abbiamo parlato: possiamo tranquillamente dire che in molte piattaforme questi elementi considerati nel caso Foodora (determinazione dei punti di partenza, degli indirizzi e dei tempi di consegna) non sono presenti e non è detto che da altri eventuali processi possano arrivare sentenze simili.

Quindi non è la parola definitiva sulla questione rider?

È sicuramente una sentenza interessante, ma non si può dire che sia risolutiva della questione Gig Economy, anche perché le piattaforme si sono dimostrate nel tempo abbastanza abili a modificare il loro modello organizzativo, anche per evitare le applicazioni delle tutele del lavoro subordinato, o come in questo caso del lavoro eterorganizzato.

E quindi le ricadute economiche rispetto al costo del lavoro?

Certo, le ricadute sulla piattaforma sono ingenti. L’effetto maggiore, la conseguenza più importante di questa sentenza, riguarda la questione retributiva per la quale trova applicazione il Contratto Collettivo Nazionale della Logistica che è stato scelto dal giudice perché è stato ritenuto il più conforme. Il fattorino addetto alla presa e consegna del CCNL Logistica è quindi la figura che è stata assimilata, anche dal punto retributivo, a quella del rider. 

Quindi diventa in questo senso lavoro subordinato?

Possiamo dire che è un lavoro eterorganizzato con alcune tutele del lavoro subordinato. Per esempio una delle tutele che il giudice ha deciso di non applicare è quella sui licenziamenti, sempre nell’ambito di una delle prime interpretazioni applicative dell’articolo 2 del Jobs Act. Quindi c’è l’applicazione di alcune tutele, come quelle retributive, quelle relative a salute e sicurezza e sugli orari di lavoro, ma non della tutela sul licenziamento, perché viene detto espressamente che non si tratta di lavoro subordinato. È un elemento che farà discutere perché gli effetti applicativi dell’articolo 2 (del Jobs Act) erano abbastanza indeterminati: c’è stata molta discussione fra gli operatori su quali fossero le tutele. Bisogna vedere come si consolida questo tipo di interpretazione. 

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