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Jobs Act, sono finite le agevolazioni: quanti hanno ancora un contratto? Cosa dicono i dati Inps

18 Luglio 2019 - 07:04 OPEN
La riforma voluta da Matteo Renzi prevedeva l'esonero dal pagamento dei contributi per tre anni: secondo l'Inps, 1 contratto su 2 è sopravvissuto, ma la fine degli incentivi ha portato a una crescita anomala dei rapporti di lavoro conclusi

A dicembre 2018 si sono conclusi gli incentivi alle assunzioni previsti dal Jobs Act. L’obiettivo era quello di aumentare le assunzioni a tempo indeterminato, esonerando le aziende dal pagamento dei contributi per un periodo massimo di 36 mesi, e renderle – soprattutto – stabili nel tempo.

Gli ultimi rapporti di lavoro agevolati sono partiti a dicembre 2015: secondo il report annuale diffuso dall’Inps, i posti di lavoro a tempo indeterminato che nel 2015 hanno usufruito dell’esonero triennale sono stati 1 milione 509mila, di cui:

  • 1milione 111mila sono state assunzioni ex novo;
  • 398mila corrispondono alle trasformazioni di altri tipi di contratto.

Si tratta di numeri che corrispondono al 60% delle attivazioni a tempo indeterminato effettuate nell’intero anno, su un totale di 1milione 952mila assunzioni e 526mila trasformazioni. Arrivati alla fine del piano triennale è lecito chiedersi: che ne è stato di questi rapporti di lavoro? Quanto sono durati? L’esonero ha incentivato la stabilità?

Quanti contratti restano

I dati diffusi dall’Inps mostrano che, a distanza di 36 mesi dall’avvio, i rapporti avviati nell’ambito degli esoneri sono effettivamente più alti degli altri, con una percentuale attorno al 54%. Il miglioramento, comunque, non è stato estremamente significativo, «ma ha senz’altro modificato, positivamente, la curva di sopravvivenza». Anche i dati per il 2016 confermano che l’effetto non è stato trascurabile.

Licenziamenti e dimissioni

Se si esclude il periodo iniziale (dove sono frequenti i licenziamenti in periodo di prova), i tassi di licenziamento evidenziano «un andamento tendenzialmente calante in funzione dell’anzianità aziendale»; «un livello sempre maggiore per le piccole imprese, dove scendono sotto l’1% a partire dal 18° mese, mentre nelle imprese maggiori si sta sotto lo 0,5% mensile già a partire dal dodicesimo mese»; «un livello per gli esonerati 2015 più basso rispetto sia a quello degli esonerati 2016 sia a quello dei rapporti 2014 assunti a confronto».

INPS

Finiti gli incentivi, finito il contratto

Di base, nel trimestre a cavallo del compimento del terzo anno, si registra una crescita «anomala e significativa» dei rapporti di lavoro conclusi, che rende «inevitabile pensare che ci sia un qualche nesso con la fine del periodo incentivato». In una percentuale significativa dei casi, finisce l’incentivo, finisce il contratto.

«Questi dati suggeriscono che un insieme di rapporti di lavoro a tempo indeterminato ha funzionato, in realtà, come rapporti a termine», si legge nel rapporto, «giungendo a conclusione proprio in occasione della fine dell’incentivazione. L’eccesso anomalo di conclusioni intorno alla soglia dei 36 mesi può essere stimato di consistenza pari a 10-15.000 unità e si concentra particolarmente nel Mezzogiorno».

Le rescissioni dei contratti prima della fine del triennio

Un dato interessante riguarda i rapporti di lavoro terminati prima che scadesse il periodo delle agevolazioni. «È evidente – si legge – l’anomalo incremento dei tassi di licenziamento in corrispondenza di alcune soglie temporali (un anno; due anni; tre anni) che in realtà non hanno alcuna ragione di esserci perché è difficile immaginare che la distribuzione temporale dei licenziamenti preveda ragionevolmente l’addensarsi attorno a queste soglie di anzianità del rapporto di lavoro».

I dati mostrano una tendenza interessante: dopo i 36 mesi dall’avvio del contratto, 54 contratti su 100 avviati con l’esonero sono ancora in corso. Il numero scende a 50 per quelli avviati senza esonero. Contratti terminati dopo solo tre anni non per licenziamento, ma per le dimissioni, almeno per la metà dei casi. Una tendenza che pare indicare che per circa la metà degli italiani il posto fisso non è un’ambizione imprescindibile.

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