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La strada, una chitarra e poi il palco di «The Voice». La storia di Matteo Terzi, in arte «Soltanto»

13 Febbraio 2019 - 22:37 Valerio Berra
A 25 anni ha cominciato a suonare nelle piazze di Lione. Da lì si è spostato tra le città di mezza Europa. Ora ha superato le selezioni di uno dei talent show più importanti della tv belga. Tutto grazie alla sua musica

«Well you only need the light when it's burning low, only miss the sun when it starts to snow». Basta questo. I primi due versi di Let her go dei Passenger per far voltare Typh Barrow, il primo giudice. Dopo di lei si girano anche Vitaa, Matthew Irons e Slimane Nebchi. Il palco è quello di The Voice Belgique, la versione belga del talent show che in Italia è stato trasmesso su Rai 2. A cantare è un italiano, Matteo Terzi, in arte Soltanto.

Ha 33 anni e da quando ne aveva 25 è un busker, un artista di strada. Uno di quelli che preferiscono la luce dei lampioni a quella dei riflettori. È la prima volta che Matteo arriva in televisione. Camicia leggera, chitarra acustica e una canzone lenta. Esattamente come negli ultimi anni si è presentato nelle strade di mezza Europa. A guardare l'esibizione, oltre gli spettatori davanti alla televisione, c'erano anche la compagna Alessandra e il figlio.

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Perché hai deciso di partecipare a un talent show in Belgio?
«Negli ultimi anni ho suonato tanto a Liegi e alcuni amici mi hanno parlato di quanto qui in Belgio fosse seguito «The Voice» Ho provato a partecipare».

A che punto sei del programma?
«Adesso ho superato la prima fase, quella delle Blind Audition. Suoni davanti ai giudici di schiena, se uno si gira puoi entrare nella sua squadra. Quando se ne gira più di uno scegli tu in che squadra entrare. Durante la mia esibizione si sono girati tutti, ho scelto Typh Barrow, una cantante belga».

Tu nasci come busker, ora abbandonerai questo lato di te?
«Le due cose continuano a coesistere. Prima di fare questa esperienza in televisione mi sono accertato che potessi continuare a esibirmi in strada».

Perchè hai iniziato questa carriera?
«Avevo 25 anni, mi ero appena laureato in Scienze Politiche a Milano. Ho da sempre la passione del viaggio e quella della musica e volevo provare a fare un'esperienza di questo genere, come artista di strada. Doveva essere una cosa temporanea, è diventata la mia occupazione».

Dove sei stato in questi anni?
«Ho iniziato a suonare in Francia, a Lione. Stavo da alcuni amici che mi avevano offerto ospitalità. Sono partito da lì con la mia chitarra e ho fatto cinque mesi in giro muovendomi in autostop, da Lione sono arrivato a Tenerife. Dopo sono tornato a Milano. L'anno successivo ho preso un camper e ho girato tutta l'Italia. In questi anni sono stato anche in Francia, Germania, Danimarca, Polonia e Repubblica Ceca».

Perché preferisci la strada a un palco?
«La strada mi ha sempre affascinato. Mette molta meno pressione. In qualsiasi momento puoi prendere e finire l'esibizione. Se non ti trovi bene, cambi posto. È una libertà che mi permette di esprimermi meglio. Poi hai un riscontro immediato. Se piaci ti ritrovi subito qualcosa nella custodia della chitarra».

Parliamo appunto di soldi, riesci a guadagnarci abbastanza?
«Qualsiasi lavoro, se lo fai con professionalità e dedizione, ti permette di campare. Certo, se stai lontano da casa per tanti mesi hai anche tante spese da sostenere. E d'inverno può fare parecchio freddo».

Tu hai già pubblicato un album, e anche in quell'occasione il sostegno delle persone è stato fondamentale.
«Nel 2013 ho registrato «Le chiavi di casa mia». È nato con una campagna di crowdfunding su Musicraiser.com. Era uno dei primi progetti della piattaforma ed eravamo tutti un po' curiosi. Siamo riusciti a raccogliere 10mila euro».

Quando ti sei esibito a The Voice c'era anche la tua compagna, come vi siete conosciuti?
«Ci siamo incontrati nel 2011. Io stavo suonando a Milano in piazza S. Babila. Lei aveva nelle cuffie “The Scientist” dei Coldplay. La stessa canzone che stavo suonando io. È stato un colpo di fulmine. All'inizio mi ha seguito nei miei viaggi, adesso non è semplice perché deve organizzarsi con il lavoro. Ma qui in Belgio, per questa esperienza in tv, resterà accanto a me».

Cosa vuol dire fare il busker in Italia?
«Non è un mestiere che ha un riconoscimento professionale. Ci si barcamena con le regole comunali. Ci sono città in cui prima si poteva suonare e ora è vietato. Cambiamenti normativi per cui da un giorno all'altro l'amministrazione di una città può decidere di chiudere gli spazi dedicati all'arte di strada. Ma cambiare spesso, spostarsi e muoversi in città diverse è una delle componenti di questo mestiere».

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