Mare Jonio, la direttiva di Salvini sulle frontiere divide gli esperti: «legittima», «no vìola il diritto internazionale»

Abbiamo chiesto un parere a Fabio Caffio, già ufficiale della Marina ed esperto di diritto internazionale, e a Giulia Crescini dell’Asgi

La Mare Jonio della ong Mediterranea Saving Humans è la nave prima battente bandiera italiana ad aver effettuato un salvataggio di un’imbarcazione in difficoltà (nei casi Sea Watch e Sea Eye si trattava di bandiera straniera) e che chiedeval’indicazione di un porto sicuro. All’Italia, di cui appunto batte bandiera.


La novità di queste ore sta anche nella Direttiva per il coordinamento unificato dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime e per il contrasto all’immigrazione illegale ex articolo 11 del d.lgs. n. 286/1998 recante il Testo Unico in materia di Immigrazione, diffusa ieri sera dal Viminale. Una direttiva «per ribadire le procedure dopo eventuali salvataggi in mare» indirizzata al capo della Polizia, al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, a quello della Guardia di Finanza, delle Capitanerie di Porto, nonché al Capo di Stato Maggiore della Marina e della Difesa.


«Non fa una piega»

La direttiva «è sicuramente legittima, anche se di difficile comprensione se la raffrontiamo a questioni umanitarie e morali», spiega a Open Fabio Caffio, ammiraglio della Marina in congedo ed esperto di diritto marittimo. «Ma dal punto di vista giuridico non fa una piega, secondo me». Il soccorso è un dovere giuridico, «ma non esiste un diritto di entrare negli Stati».

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Elio Desiderio/Ansa | La Mare Jonio, al largo di Lampedusa, bloccata da due navi della Guardia di finanza e da un’imbarcazione portuale

Cosa vuol dire, in concreto? «Le persone soccorse devono essere assistite e poi trasportate in un luogo sicuro», scandisce Caffio. «Finché a effettuare il soccorso sono le navi ‘pubbliche’, cioè appartenenti a Guardia Costiera, Marina Militare, Guardia di Finanza, hanno delle direttive su dove andare, anche se esistono dei principi sul luogo sicuro: anzitutto la competenza è dello Stato che ha la responsabilità di chi coordina il search and rescue, il soccorso, e poi, se vogliamo, dello Stato di barbiera della nave che effettua il soccorso stesso».

Sulle altre navi, private, dice Caffio, la situazione è completamente diversa. «Quando pensiamo alle ong non dobbiamo pensare a navi particolari: per la norma sono mercantili puri e semplici». Navi che hanno obblighi di soccorso, definito “spontaneo”, dopo il quale «le persone salvate non possono stare sulla nave per giorni o ore».

Il fatto che la Mare Jonio abbia portato i 49 migranti soccorsi al largo della Libia in Italia «è una violazione di questo principio». Il mercantile non può prendere iniziativa «su dove portare le persone soccorse – come avvenuto in questo caso – perché deve rivolgersi al centro Sar, di ricerca e soccorso, più vicino. È questo quello che dice la direttiva di Salvini».

«Assolutamente illegittima»

Direttiva che sarebbe invece «assolutamente illegittima», dice Giulia Crescini dell’Asgi, Associazione studi giuridici sul’immigrazione. «Si potrebbe adire l’autorità giudiziaria per il suo annullamento». La Mare Jonio, dopo il soccorso, «si è diretta immediatamente verso nord perché le condizioni meteo sono peggiorate: questa notte il mare è arrivato a forza 7. L’isola più vicina era Lampedusa e la convenzione internazionale dice che l’indicazione del Place of Safety, il luogo sicuro di sbarco, va richiesta anche allo stato costiero dove si trova il porto più vicino», commenta l’avvocata. Il soccorso «è avvenuto in zona Sar libica e la Mare Jonio non poteva assolutamente chiedere alla Libia l’indicazione di un porto sicuro: laddove li avesse portati in Libia, il comandante della nave sarebbe incorso in responsabilità giuridiche, penali e civili. Ce lo dicono tantissime fonti internazionali, non da ultima la Commissione europea: la Libia non è un porto sicuro e non si possono riportare le persone lì».

Cosa c’entra il Porto sicuro?

«La percezione sul concetto di luogo sicuro è diversa a seconda dell’interlocutore», commenta l’ammiraglio Caffio. «La corte penale internazionale dice che la Libia non è un porto sicuro. Ma la Commissione europea, nel riconoscere il ruolo della guardia costiera libica, ha implicitamente detto che la Libia è un porto sicuro. Esiste un progetto di rafforzamento della guardia costiera libica di cui noi italiani siamo principali attori…» Insomma, per Caffio «manca, a livello internazionale, una chiara pronuncia sul fatto che la Libia non è luogo sicuro. Tutti ne parlano ma nessuno lo dice ufficialmente. E con “nessuno” intendo “nessuna autorità italiana”. I mercantili italiani hanno bisogno di direttive, non possono fare quello che vogliono».

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Il fatto che sia intervenuta la Guardia di Finanza ad intimare alla nave di non avanzare, nota Caffio, «non è casuale». La Gdf, infatti, «è competente per l’ordine e la sicurezza pubblica in mare – nelle acque territoriali, ovviamente». E i migranti soccorsi, secondo l’ammiraglio, «sono persone a rischio: dietro ci sono i trafficanti. Rappresentano il segmento ultimo di un’azione illecita che parte molto da lontano. Certo ora farei passare il messaggio sulla necessità di decidere finalmente strumenti legali per combattere questi trafficanti: alla fine li puniamo solo noi, solo l‘Italia esercita giurisdizione. Non esiste collaborazione da parte di altri paesi europei. C’è qualcuno che bluffa».

Comunicazioni solo orali

«Nessun provvedimento formale e scritto è stato comunicato alla Mare Jonio, per quello che ne sappiamo al momento», dice Giulia Crescini dell’Asgi. «Le comunicazioni sono avvenute oralmente. Finché non c’è un provvedimento scritto che inibisca l’ingresso nelle acque territoriali, quella direttiva dà solo delle indicazioni alle autorità che poi devono emettere appunto un provvedimento».

L’ingresso in acque territoriali «può essere inibito e vietato solo in presenza di alcune condizioni, tra cui il pericolo per l’ordine pubblico». Con la direttiva, «il ministero implica il fatto che una ong faccia soccorso in mare in violazione delle norme. Ma l’attività di Search and Rescue in acque internazionali non è un’attività che configura un pericolo per l’ordine pubblico», spiega l’avvocata.E ora la Mare Jonio «è già in acque territoriali e sta chiedendo l’indicazione di un porto sicuro. E l’operazione di sbarco non può essere vietata in queste condizioni. Questo ce lo dice sia l’ordinamento internazionale sia quello nazionale».

Non solo: secondo l’Asgi «nello stesso reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina vige sempre una clausola di esclusione della punibilità, nel caso in cui l’attività penalmente rilevante sia stata eventualmente commessa in una condizione di urgenza e necessità come nei casi di salvataggio», chiosa Giulia Crescini.

Il ministero dei Trasporti

Una cosa è certa, per l’ammiraglio Caffio: la circolare degli Interni «dice che non possono entrare in Italia dal punto di vista dell’ordine pubblico. Ma mancano delle direttive per i mercantili, che dovrebbero essere emanate dal Ministero dei Trasporti. Può essere una zona grigia: mi sarei aspettato una circolare a firma congiunta o parallela sugli aspetti di search and rescue, di soccorso. Il fatto che non ci sia non inficia nulla però: è solo una questione di azione amministrativa. Semplicemente continua a esserci un doppio passo tra ministeri».

E il fatto che la nave batta bandiera italiana? «Questo è un argomento a fortiori, rafforzativo della nostra interpretazione», dice l’avvocata Giulia Crescini. «Non ci può essere mai una situazione in cui una barca italiana, con a bordo personale italiano, non venga ammessa in territorio italiano. Non c’è nessun altro a parte l’Italia competente, in questo momento. Semmai viene sequestrata la nave, vengono presi provvedimenti da parte dell’autorità giudiziaria laddove ci siano condotte penalmente rilevanti – e in questo caso, ripeto, non ci sono».

In copertina un fermo immagine del video del soccorso pubblicato su Twitter da Mediterranea Saving Humans.