Varoufakis: «Salvini è un prodotto della Depressione, come lo furono Mussolini e Hitler»

Secondo l’ex ministro delle Finanze greco, candidato in Germania alle elezioni europee: «L’establishment e i Salvini si aiutano a vicenda»

«Salvini è il prodotto della Depressione, così come Mussolini e Hitler furono il prodotto della Depressione tra le due Guerre mondiali in Europa». A parlare all’Agi è Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze greco, ora candidato alle elezioni europee col partito Domkratie in Europe, costola di DiEM25 – Democracy in Europe Movement 2025. La Depressione a cui allude è la Great Depression cominciata negli Stati Uniti nel 1929 col crollo della Borsa e continuata poi per un decennio. «Ora – dice Varoufakis – abbiamo il fascismo che cresce di nuovo, risultato del fallimento dell’establishment. L’establishment e i Salvini si aiutano a vicenda», ha aggiunto Varoufakis, «l’Europa si sta disintegrando sotto la pressione dell’austerità, da una parte, e sotto quella dei fascisti, dall’altra. È probabilmente l’ultima elezione del Parlamento europeo in cui abbiamo la possibilità di fare la differenza». L’ex braccio destro del premier greco Alexis Tsipras ha affermato che per sconfiggere il sovranismo è necessario un «New Deal verde per creare lavoro di buona qualità, lavoro per la transizione energetica verde». Non è la prima volta che Varoufakis rivolge questo tipo di accuse al vice-premier italiano. Già nell’ottobre 2018, in un incontro con la stampa estera a Roma, aveva affermato: «Salvini sta sfruttando la frammentazione e l’incoerenza logica dell’establishment per portare, attraverso la sua rabbiosa xenofobia, un nuovo momento fascista in Italia». Aveva anche allora fatto riferimento a un rapporto tra il malfunzionamento dell’UE e l’ascesa di Salvini. «Bruxelles è il più grande sostenitore di Salvini», aveva affermato «Imponendo all’Italia regole che garantiscono la stagnazione e il calo dei redditi e delle prospettive per la maggior parte degli italiani, permettono a Salvini l’uscita tattica nel populismo xenofobo».